Nella precedente narrazione si è cercato di mettere in luce alcune delle tante rappresentazioni “scultoree”, che il mondo geologico sardo ci ha reso, nei milioni di anni di tempo trascorso per completare la sua formazione. Gli sconvolgimenti tellurici, ripetuti, che hanno modellato l’isola non sono il solo elemento naturale che vi ha concorso. Lo abbiamo già intravisto in parte quando abbiamo fatto cenno ai Basalti colonnari di Guspini o al mega Pillow di Masullas, la componente acqua ha giocato il suo importante ruolo.
A vederla oggi sembra che l’acqua non sia molto presente sull’isola, visto l’esiguità dei grandi fiumi, come il Tirso, il Flumendosa o il Cedrino, che con i suoi canneti, presso Galtellì, ha ispirato il nostro premio nobel Grazia Deledda, nell’opera Canne al vento.
Oltre ai tortuosi percorsi fluviali, l’acqua in superficie, in combinazione con i diversi scenari geologici, ci dona scorci di suggestiva bellezza come le cascate, anche se non sono tante, ma concorrono ad impreziosire quell’opera scultoria diffusa in tutto il territorio isolano.
Forse la più nota è la cascata di Sa Spendula, a Villacidro. Decantata da Gabrielle d’Annunzio, con il sonetto scritto il 17 maggio 1882, in occasione di una sua visita a Villacidro. Il granito dove ha scavato il suo alveo, si fa risalire intorno ai 290 milioni di anni fa e geologicamente riconducibile al periodo Permiano Inferiore. Composto da tre salti che raggiungono l’altezza di 60 metri, anche se l’ultimo salto è quello più rappresentativo, con i suoi 25 metri. L’altra suggestiva e spettacolare cascata la troviamo nel comune di Cuglieri, in provincia di Oristano, meglio nota come la cascata di Capo Nieddu. Cascata formata dal Riu Salighes, che al termine del suo percorso si riversa nel mar di Sardegna, con un salto di 40 metri. A differenza della cascata di Sa Spendula, ove si arriva in macchina, questa del Riu Salighes si raggiunge a piedi, ma ne vale la pena per lo scenario che ci appare, multicolore, dato dalla roccia calcarea rossastra e il verde della macchia mediterranea con l’azzurro del mare, ove si specchia e si riversa. Per ammirare un’altro scenario simile, ma senza il mare, bisogna andare ad Ulassai, ove il Rio Lequarci, ci regala un salto di 50 metri, dall’alto della bellissima falesia calcarea (costone roccioso con pareti a picco) che ha un fronte di oltre 70 metri.
Sicuramente il salto più importante delle cascate in Sardegna è da attribuire alla cascata di Muru Mannu sul Monte Linas, a Villacidro. L’acqua che precipita dall’alto dei suoi 72 metri, anima l’imponente muro granitico, da cui la traduzione letterale: “grande muro”. Purtroppo non è di facile accesso, meta turistico escursionistica è incastonata nell’altopiano granitico di Oridda. Il suo salto è alimentato dal torrente chiamato Riu Muru Mannu e si trova a quota 620 sul livello del mare. Altre cascate con minori salti, le troviamo nei comuni di Santu Lussurgiu, con i 30 metri di Sos Molinos e a Bolotona, Nuoro, con un salto di 18 metri, Mularza Noa. Caratteristica è senz’altro la cascata di Sadali, nella Barbagia di Seulo, sud Sardegna, meglio nota Su Stampu de su Turrunu., la cascata del buco. La sua formazione non è data da un rio o torrente di superficie, ma bensì fuoriesce dalle rocce giurassiche di calcare, di 190 milioni di anni fa, con un salto di 16 metri. Di suggestivo fascino, è raggiungibile attraverso un sentiero di circa un chilometro, fra ambienti boschivi attraversati dalle acque che danno lungo a delle piccole e graziose cascate.
Se all’esterno l’acqua ci ha reso circa quindici scenari naturali, anche se di non grande scenografia ma ognuna con il suo fascino e suggestioni. In sotterraneo, invece, in milioni di anni, ha plasmato i monili più preziosi ed ancora modella, nel lungo cammino di formazione carsica.
In tutto ne contiamo sparsi nell’isola una quindicina, posizionate grosso modo in tre ambiti: a nord, la grotta di Nettuno ad Alghero e quella di San Michele ad Ozieri; mentre nel centro sud, versante orientale, a Dorgali, quella del Bue Marino e Ispinigoli. A Baunei, la grotta del Fico e Su Marculu; ad Oliena, Sa Oche; A Sadali, Js Janas; A Ulassai, Su Marmuri. Mentre nel sud ovest, trovano, a Santadi, Is Zuddas; a Domusnovas, San Giovanni; a Fluminimaggiore Su Mannau. e ultima, in ordine di tempo, scoperta nella miniera di San Giovanni ad Iglesias, la grotta di Santa Barbara. Buona parte sono fruibili al pubblico ed ogni grotta merita una visita attenta.
Certamente un itinerario possibile potrebbe avviarsi partendo dalla Grotta di Nettuno, forse la più famosa, accessibile via mare o tramite una suggestiva e affascinante scalinata, composta da 654 gradini. Considerata la più grande cavità marina d’Italia o forse d’Europa, perché si sviluppa tra sale e laghetti a livello del mare, per una estensione che raggiunge i 4 chilometri. Ogni sala ha la sua denominazione, ispirate dalle imponenti formazioni di stalattiti e stalagmiti. Presso la grotta di Nettuno sono altre due grotte, non per il vasto pubblico, come quella dei Pizzi e Ricami e quella dell’Altare, meglio nota come Grotta Verde, che ha restituito importanti grafiti, vasellame e sepolture neolitiche. Stando ancora al Nord, nel comune di Ozieri è la Grotta di San Michele, così nominata per una antica presenza al culto dell’arcangelo Michele. Anch’essa una grotta carsica, ma la sua notorietà è data dagli importanti manufatti archeologici ritrovati e databili al 3.200 – 2800 a. C. Classificati, civiltà di San Michele, per l’originalità e la decorazione dei manufatti, oggi meglio nota come Cultura di Ozieri. Nel centro orientale dell’isola, troviamo Sa Oche o Sa Oche de su Bentu, la voce o la voce del vento, nel comune di Oliena. Questa particolare formazione che in pratica consta di due importanti cavità, la si trova nel fondo della più nota Valle di Lanaittu. Trattasi di un complesso carsico fra i più vasti d’Europa e il suo nome deriva proprio dagli effetti prodotti dal vento che si incunea fra le maestose paretti e lo scorrere dell’acqua.
Sa Oche, che è la parte più interessata all’attraversamento delle acque meteoriche, produce la voce. Su Bentu, il vento, anch’essa attraversata da un fiume che risale alle sorgenti di Su Gologone e che nel suo articolarsi in profondi sifoni spinge l’aria verso l’esterno, creando suggestivi vortici, il vento. Articolata in numerose cavità, laghi, sale, con vani che superano i centro metri di altezza e le immancabili stallatiti e stalagmiti, non è purtroppo accessibile al vasto pubblico, perché per arrivarci si deve essere predisposti per una impegnativa camminata e per poterle visitare, essere degli esperti speleologi.
Da Oliena, ci si può spostare a Dorgali e più precisamente, nella sua frazione di Cala Gonone, ove possiamo partire per la grotta del Bue Marino, nel golfo di Orosei. La grande cavità carsica, da sempre abitata della Foca Monaca, simpatico mammifero marino, oggi scomparso, pare a seguito del carico antropico dovuto allo sviluppo turistico. La sua formazione è articolata su tre lunghe ramificazioni dai 5 ai 9 km, ma solo una parte è accessibile al pubblico. Nella parte iniziale della parete si ritrovano delle incisioni rupestri risalenti alla Cultura di Ozieri. Come vedremo nei successivi articoli, molti ambienti carsici sono stati luoghi di antiche frequentazioni. Il ramo sud del grande anfratto, accoglie il visitatore con numerose stallatiti e stalagmiti, nel lungo ampio lago salato. In questo stesso ambiente si ritrova la spiaggia che ha ospitato la foca monaca che evidentemente privilegiava quel luogo ove si miscelavano le acque dolci che provenivano dai fiumi sotterranei, con quelle salate del mare. Stando ancora a Cala Gonone, l’altra interessante e suggestiva cavità sotterranea è quella meglio nota di Ispinigoli. Localizzata nel supramonte di Dorgali. non sfuggirà al visitatore il primo impatto, subito dopo l’ingresso, quasi fossimo su una terrazza che si apre nel vuoto, ci appare uno scenario indimenticabile che ci fa trattenere il fiato. Superato lo stupore, non sarà difficile scorgere una maestosa ed imponente colonna calcarea, che con i suoi 38 metri di altezza, è considerata uno dei monoliti calcarei tra i più alti al mondo. Questa enorme colonna, decorata a intarsi e scanalature, prodotte nei millenni dai giochi d’acqua, può essere vista come saetta caduta dalla volta e conficcatasi sul pavimento, in uno scenario scultoreo di grande fascino, all’interno di un vasto vano della profondità di 35 metri ed un diametro di 80. La visita viene considerata “discesa agli inferi”, per il suo sviluppo in verticale mozza fiato, con i suoi 280 gradini che ci consentono di raggiungere la base del monolite. La cavità carsica offre una miriade di forme e colori. Parte esterna di un complesso carsico che si sviluppa in varie ramificazioni. Affascinante è l’illustrazione da parte delle guide dell’ Abisso delle Vergini, un inghiottitoio profondo 60 metri, chiaramente fruibile solo da esperti speleologi, ma carico di suggestioni per i ritrovamenti dei gioielli di epoca nuragica, fenicia e romana, oggi esposti al museo Archeologico di Dorgali. Non solo, i resti umani rinvenuti, aprono ipotesi che ci fanno pensare a remote sepolture, sino ad immaginare, il luogo di antichi rituali religiosi, di tradizione greca.
Sempre sulla costa orientale nel comune di Baunei, sono localizzate la grotta del Fico e la grotta Su Marculu. La prima letteralmente grotta del fico, si apre all’altezza di 10 metri sulla splendida falesia sul mare. E’ considerata di particolare bellezza, per i numerosi cunicoli di diversa formazione e colori, che si ammirano transitando lungo il letto fossile di un antico fiume. I numerosi sifoni che vi si trovano la collegano al mare, già abitat della foca monaca. La seconda, letteralmente, la grotta del miracolo, si apre nella splendida spiaggia di Cala Sisine, con uno sviluppo di 200 metri e si caratterizza per le sue bizzarre formazioni colonnari a cavolfiore. Nella grande sala ci si incanta al gioco delle luci che si riverberano sulle colonne di notevole purezza calcarea. Mentre troviamo la stanza del tesoro, data da una splendida formazione ad anfora, incastonata in un ambiente con tonalità rossastre che si riverberano sino ad un bianco latte, nel riflesso delle alte volte di bianco calcare.
Lasciamo l’ambiente del centro orientale dell’isola, per portarci più a sud nella zona interna, dove si è formata la grotta di Su Marmuri a Ulassai, sotto il tacco di Monti Tisiddu. Anche quest’altra cavità si inserisce fra le grotte più ampie d’Europa ed è costituita da vaste sale, come quella del Cactus, per la presenza di una stalagmite, alta circa 20 metri, che ci richiama la monumentale pianta dei deserti della California. L’origine del nome che significa “il marmo”, è data dalla particolare roccia calcarea che costituiscono gli ampi scenari e in particolare, i festoni pendenti dalle pareti. Altre sale sono: la Grande Sala; la Sala dell’Organo: la Sala Terminale e la Sala dei Pipistrelli, che ospita la colonia più grande d’Italia di pipistrelli, ove trascorrono il lungo letargo.
Ancora nella zona interna, troviamo la grotta Is Janas, nel comune di Sadali. Posta nel cuore della Barbagia di Seulo, il suo nome ci richiama alle domus de Janas, la casa delle fate, in molti narrano di un luogo fatato, anche per la vicinanza alla cascata Su stampu de su Turrunu. La cavità lunga 240 metri, si articola in sei ambienti, a cominciare dal primo, ove le stalagmiti, ancora in formazione, sono avvolte da una patina vegetale. Vi è anche la sala chiamata S’ omu de is Janas, la casa delle fate, e naturalmente anche questo ambiente, di forma ovoidale, è parte principale della leggenda, perché le tre imponenti stalagmiti presenti, rappresentano la personificazione delle fate, abitanti un luogo incantevole e magico, ricco di colate, colonne e drappeggi marmorei di fattura regale. Vi lascio il gusto di scoprire le altre sale: Su Longu, Su Mulinu e del Guano.
Il nostro fantastico itinerario prosegue nella parte sud occidentale, con la prima visita alla Grotta di San Giovanni a Domusnovas, nell’iglesiente. Il grande e lungo anfratto che riceve il nome da un’antica cappella al santo dedicata, poi andata distrutta. La conformazione carsica si sviluppa in lunghezza, fra due montagne, per oltre 800 metri. Questa cavità costituita da numerosi angoli con stallatiti, stalagmiti e simpatiche concrezioni a vaschetta, è percorsa dal rio San Giorgio e da una strada, realizzata per il trasporto dei minerali estratti dalla miniera Sa Duchessa, posta nella parte estrema. La grotta riconosciuta Monumento Naturale, sino a pochi anni era percorribile anche in macchina, tanto che veniva classificata la terza grotta al mondo attraversabile con le auto. La grande parete d’ingresso è meta di appassionati della arrampicata sportiva su parete. Questa monumento di facile accesso e di suggestivo sviluppo, mantiene tracce di antica frequentazione, con ipotesi risalenti al paleolitico. Certo è che la grotta fu una vera e propria fortezza, perché sono ancora visibili parte delle possenti mura che la blindavano, sia sul fronte nord, verso la valle di Oridda, che a sud, presso l’ingresso principale. In buona parte, la singolare fortificazione, fu demolita nel XIX secolo per l’attraversamento viario. Sempre nell’iglesiente, ma questa volta nel comune di Fluminimaggiore, sono le grotte dette Su Mannau. Ambiente carsico ancora attivo, ha uno sviluppo di oltre 8 km. ma non tutto visitabile. La sua caratteristica è data dal lavoro che ancora l’acqua produce, con quello già scolpito, di luminose stalagmiti e stallatiti bianco candido che si specchiano in diversi laghetti, fra i giochi di luci che colorano le pareti di sfumature che vanno dall’ocra al rosso vinacce.
La caratteristica della grotta è data dalle sue numerosissime sale, con due corsi d’acqua, uno detto fiume Placido e l’altro Rapido, ma la sala affascinante è la sala Vergine, di bianchissimo rivestita, con le sue aragoniti coralloidi ed eccentriche. Si sviluppa su un percorso di 500 metri ed ad accogliervi sarà la prima sala, detta la Sala Archeologica, per la sua utilizzazione come tempio ipogeo, frequentata sin dal periodo prenuragico.
Stando ancora nell’iglesiente e precisamente nella miniera di San Giovanni ad Iglesias, troviamo la grotta di Santa Barbara. Scoperta dal lavoro di un minatore nel 1953. Impegnato nella realizzazione di un fornello, galleria verticale, abbattendo una parete rocciosa si è trovato, d’incanto, all’interno di un immenso vano, sino all’ora sconosciuto. La sua caratteristica, oltre ad essere nel cuore della montagna, è cosparsa di cristalli di barite bruno scuro che confliggono con i chiari colori delle cascate carsiche calcaree e con le stallatiti e stalagmiti, invadendone parte del soffitto e delle pareti. Suggestivo anche l’accesso con il trenino, tramite galleria mineraria, fino all’ascensore che permettere di raggiungere poi la scala a chiocciola che vi immette nello splendido scenario di interazione mineraria.
L’ultima tappa del nostro viaggio la dedichiamo alla vista della grotta di Is Zuddas a Santadi, nel Sulcis. Come tutte le cavità carsiche si fanno risalire intorno ai 540 milioni di anni fa. La sua fruizione consta di un percorso di 500 metri ed è anche questa caratterizzate da diverse sale ricche di formazioni classiche, ma anche e soprattuto strane, come le cannule e le eccentriche aragoniti. Queste ultime sono le formazioni che meglio caratterizzano la grotta e si distinguono in due forme: le aragoniti aciculari, che si presentano come grossi ciuffi di cristalli d’aghi, noti anche come Fiori di Grotta e le più spettacolari, le aragoniti eccentriche, costituite da formazioni filiformi ininfluenti alla gravità che si diramano in maniera disarmonica, creando uno scenario di suggestiva bellezza e delicatezza. A Santadi si trova anche la grotta di Su Benazzu, riservata ai bravi escursionisti e nota anche con l’appellativo: Grotta del Tesoro, per l’importante ritrovamento archeologico, di ceramiche con ornamenti votivi, corredi votivi e bronzi di grande interesse, come il pugnale ad elsa gammata ed un tripode a colonnina.
In copertina la grotta di Santa Barbara – San Giovanni Miniera – foto del PGSA di Stefano Sernagiotto da Sardegnaturismo.