Se risultano labili le certezze della presenza umana nel Paleolitico, dobbiamo attendere a maggiori ricerche o a fortuiti ritrovamenti che spesso ci aprono nuovi ed inaspettati orizzonti. Così pure non abbiamo certezze in che modo l’uomo arrivi in Sardegna, vista la lunga evoluzione geologica cui è stata protagonista l’Isola fino alla sua migrazione al centro del Mediterraneo.
Le ipotesi più accreditate farebbero ritenere che l’uomo arrivi in Sardegna attraverso due vie: la prima per mezzo del corridoio Toscana ed il suo arcipelago, prossimi alla Corsica e alla contigua Sardegna; la seconda, dal continente africano nel momento di sua massima vicinanza con l’isola. Questi eventi ci riconducono alle importanti regressioni marine avvenute durante i periodi glaciali del Pleistocene, tanto che si stima un abbassamento del livello del mare intorno ai 130 m rispetto a quello attuale, nell’ultima era glaciale Würm che ebbe inizio 110.000 mila anni fa per concludersi 12.000 anni fa, fase finale del Paleolitico. Se ancora dobbiamo pazientare per conoscere meglio il Paleolitico, abbiamo maggiori certezze e testimonianze per i periodi successivi, e certamente il Neolitico è quello che attesta in maniera compiuta la stabile frequentazione dell’uomo nell’isola di Sardegna.
Tra il Paleolitico pieno di incertezze e il Neolitico certo, per la presenza umana e la sua evoluzione, nel mezzo troviamo il Mesolitico, considerato periodo transitorio di mezzo tra il Paleolitico, età della pietra, e la nuova era che come detto, è rappresentata dal Neolitico. Periodo compreso tra i 10.000 ed i 6.000 anni a.C., viene considerato intermedio anche per il comportamento dei nuclei umani presenti nell’isola, che passano da gruppi erranti alla ricerca di cibo, a situazioni di primo insediamento. Sicuramente la vita senza sosta è la ragione principale della dispersione delle testimonianze che ancora auspichiamo di ritrovare perché, come abbiamo visto, i segnali non mancano.
Più certezze sicuramente le ritroviamo nel Mesolitico e già la grotta Corbeddu di Oliena ne ha reso testimonianza con i diversi reperti datati intorno al 6.000 anni a.C.
Gli studiosi articolano il Mesolitico in due fasi: la prima, viene collegata ancora al Paleolitico Superiore, in quanto persistono le attività legate alla caccia ed alla raccolta nel periodo compreso tra il 10.000 e l’8.000 a.C. che chiamano Epipaleolitico; la seconda, compresa tra l’8.000 e il 6.000 a.C., Mesolitico o Epipaleolitico recente, si accosta al successivo periodo del Neolitico, in quanto si registrano i primi insediamenti stanziali con stretti legami con l’allevamento e l’agricoltura.
Oltre alla Grotta Corbeddu, al Mesolitico è attribuibile anche la scoperta di resti scheletrici di due individui rinvenuti nel riparo sotto roccia di Su Carroppu di Sirri nel territorio di Carbonia. Per altro, questo ritrovamento, già oggetto di primi studi da parte del Prof. Enrico Atzeni, databile al 9.000 – 8.000 a.C., grazie alle analisi col Carbonio -14, parrebbe confermare quanto abbiamo visto per le tracce dell’uomo paleolitico in Sardegna. Le analisi svolte dalle due università di Ferrara e Firenze, attestano infatti che i campioni di Su Carroppu, appartengono a gruppi umani poco rappresentativi tra gli uomini del mesolitico europeo.
Altre tracce attribuibili al Mesolitico sono state rinvenute in un altro riparo sotto roccia, anche se di dimensioni molto più ridotte rispetto a Su Carroppu di Carbonia, nel nord Sardegna, presso Trinità d’Agultu, in località Porto Leccio. Oltre ai resti di Prolagus, sempre presente nei contesti mesolitici, a testimoniare che questo antico roditore fosse uno degli elementi principali dell’alimentazione umana di allora, il sito archeologico ha restituito elementi di industria litica scheggiata, in particolare in selce e quarzo, che gli studiosi accostano ai ritrovamenti mesolitici della Corsica. In particolare, sono stati recuperati raschiatoi ed elementi denticolati. La Grotta di Su Coloru a Laerru testimonia invece una lunga presenza umana che comprende anche il Mesolitico, tanto che è considerata uno dei siti più rappresentativi dal punto di vista della continuità stratigrafica dal Paleolitico sino al Neolitico.
Se Su Carroppu è stato il primo sito ad aver restituito frammenti di testimonianze umane, la scoperta del riparo sotto roccia in località Domu de S’Orku, nel litorale di Arbus, è andata ben oltre, in quanto si tratta dell’unico sito ad oggi, che ha restituito le spoglie di tre inumati, di cui uno con lo scheletro quasi completo.
Il riparo sotto roccia venne ricavato in una parete di roccia arenaria in località Su Pistoccu (il biscotto); il primo ritrovamento risale al 1985, per opera di alcuni bagnanti e successivamente da parte del Gruppo Archeologico Neapolis di Guspini.
Il primo intervento di scavo scientifico venne effettuato nel 2006 dalla Prof.ssa Melis, dell’Università degli Studi di Cagliari, dalla Prof.ssa Mussi dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”, dalla Prof.ssa Floris dell’Università degli Studi di Cagliari, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Sardegna (Dr. A. Usai).
L’intervento consentì il recupero di ulteriori resti umani. I primi, custoditi dal Gruppo Neapolis, sono costituiti da uno scheletro pressoché completo, cosparso interamente da ocra rossa. Questo primo scheletro, battezzato “Beniamino”, di sesso maschile, ha consentito di ipotizzare un’età biologica intorno ai 40 anni. Gli ulteriori ritrovamenti riguardano un altro inumato, sempre di sesso maschile, battezzato “Amsicora”, e caratterizzato da un corredo funerario costituito da uno splendido esemplare di conchiglia del genere Triton e quattro schegge di ossidiana. Successivamente, sono emersi i resti attribuibili ad un inumato di sesso femminile “Amanda” e con essa anche le tracce di un focolare, con resti di Prolagus e conchiglie del genere Columbella. In questo importante sito le datazioni sia dei resti di pasto che delle ossa umane al Carbonio -14, effettuate presso l’Università di Tucson, Arizona, hanno reso una datazione di circa 8.500 anni fa.
Gli sudi sono ancora in corso e non è esclusa un’ulteriore campagna di scavi, per arricchire i dati e un approfondimento sui resti vegetali ed animali, ma non solo: la presenza dell’ocra rossa, farebbe pensare allo sfruttamento del giacimento presente sull’isola di San Pietro, che in quel periodo si presume, fosse raggiungibile via terra per il livello ancora basso del Mediterraneo, che durante la fase glaciale, tra i 31.000 e i 18.000 anni fa, scese di circa 130 m rispetto a quello attuale, per poi risalire gradualmente con la successiva fase interglaciale, tra i 15.000 e 11.000 anni fa, il cosiddetto Tirreniano.
L’interessante quantità dei resti umani, vegetali ed animali, si spera possano contribuire a chiarire, o per lo meno, a comprendere meglio le variazioni climatiche che hanno interessato la Sardegna nel Mesolitico e l’adattamento dei primi gruppi umani nell’Olocene (10.000 anni fa), quando inizia la fase di riscaldamento, molto similare alle condizioni odierne.
In copertina Domu de S’Orcu – Arbus – foto Giorgio Orrù