Il periodo che affrontiamo oggi, chiude la fase pre nuragica, durata circa 3600 anni, con una importante crescita culturale e sociale che ha visto sempre più l’isola di Sardegna centrale nel mediterraneo. Quest’ultimo periodo che è durato circa mille anni, si è sviluppato tra il 3240 e il 2320 a.C., risultando il più significativo del Neolitico in Sardegna, in quanto la sua cultura la ritroviamo distribuita sull’intera isola. Le comunità neolitiche in quest’ultimo periodo si arricchiscono di nuove e diffuse strutture di natura sepolcrale e spirituale, in particolare si rivelano l’espandersi delle Domus de Janas, sepolture in grotticelle artificiali, ma anche nuove deposizioni con i Circoli funerari e i Dolmen, tomba megalitica a camera singola.
Quest’ultima forma sepolcrale ci rimanda all’inizio del megalitismo sardo, dato da costruzioni con l’utilizzo di grossi massi, la più famosa rappresentazione megalitica europea è senza dubbio Stonehenge in Gran Bretagna, contemporanea con le nostre prime rappresentazioni megalitiche, in quanto databile tra il 3100 ed il 1600 a.C. Ai dolmen, in Sardegna, si affiancano anche i primi Menhir, grossi massi infissi nel terreno, da noi chiamati per questo Perdas fittas, pietre fitte, considerati dei veri e propri simulacri dedicati ai morti o alle divinità. Non c’è ancora univocità di rappresentazione, tanto che, in questo ultimo periodo, i menhir, in particolare quelli in forma allineata, vedi Goni e Sorgono, si ipotizza abbiano svolto un ruolo di osservatori astronomici.
L’aspetto culturale e unificante del territorio della Sardegna è dato in particolare dai manufatti recuperati nella grotta di San Michele presso il comune di Ozieri. Per questa ragione i ritrovamenti vengono detti appartenenti alla Cultura di Ozieri o San Michele di Ozieri. Questo evento rimane tra i momenti più salienti del progresso raggiunto dall’uomo sardo nel Neolitico.
Le due campagne di scavo effettuate nel 1914 e quella del 1949, della grotta di San Michele, hanno reso importanti testimonianze ed in particolare una produzione fittile unica nel suo genere, che dimostra la rapida evoluzione sociale e culturale raggiunta dalle popolazione ormai distribuite su l’intero territorio isolano. Fu tanto importante lo sviluppo della Cultura di Ozieri che riuscì a contaminare anche la vicina Corsica.
Tra le diverse forme di corredo domestico che si ripetono in questo periodo, anche se più elaborate, ne troviamo di nuove, come i vasi a cestello e pissidi, decorati a cerchi, a spirali, a festoni, a stella e figure umane. Fra le diverse tipologie e forme, si trova per la prima volta, il vaso a tripode. Quest’ultimo elemento che generalmente non presenta decorazioni, a differenza degli altri, è certamente dovuto al fatto che trattasi di elemento da fuoco, a testimonianza delle aumentate capacità e conoscenze alimentari, nonché del pieno dominio del fuoco.
Elemento anche questo che concorre a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni che crescono e si espandono in maniera considerevole.
La produzione delle ceramiche, con fini rappresentazioni, alcuni studiosi le accostano a manufatti rinvenuti nelle isole Cicladi e Creta, per cui ipotizzano importanti scambi culturali che in Sardegna si sviluppano in forma autoctona. Le forme dei manufatti fittili e gli strumenti litici rinvenuti, ci riconducono a popolazioni sempre più dedite all’agricoltura e pastorizia, con il mantenimento della caccia, anche se affiorano le prime tracce della produzione dei metalli. Il nuovo e più importante aspetto, di questa nostra esplosione culturale, è dato dal rapido formarsi di comunità sociali, con la nascita di veri e propri villaggi di tipo capannicolo, con strutture circolari in elevato, costituiti da una base con pietre a secco e la copertura di telai lignei posizionati in forma conica, ricoperti di frasche. Le pinnettas, antichecostruzioni pastorali ancora presenti, in particolar modo nel centro Sardegna, potremmo considerarle testimonianze ancestrali a noi pervenute, che costituivano le unità abitative dei nuovi insediamenti umani che andavano nascendo.
Il villaggio Puisteris, individuato nel 1950, risulta essere al momento l’agglomerato più esteso del neolitico, costituito da oltre 250 capanne, lo si ritrova nel territorio di Mogoro, presso il Monte Arci, sede incontrastata dei vasti depositi di ossidiana, ampiamente utilizzata per la produzione di utensili e punte di freccia, a supporto della nuova economia, nonché commercializzata in molte regioni d’Italia e del sud della Francia, tanto che la nostra roccia vetrosa di color nero, veniva anche chiamata: l’Oro nero di Sardegna.
Le testimonianze di questo importantissimo periodo di vita in Sardegna, si possono cogliere visitando i principali musei dell’isola che espongono le splendide ceramiche finemente decorate, alcune delle quali ci hanno reso interessanti rappresentazioni di figure umane stilizzate, in una suggestiva iconografia del ballo in tondo, Su ballu tundu, ancora oggi praticato in molte comunità isolane. Il museo Sanna a Sassari e quello nazionale di Cagliari, dispongono di importanti testimonianze, non solo fittili, ma anche litiche come gli idoletti femminili che si differenziano da quella Dea Madre di Cuccuru is Arrius, Cabras, con testa cilindrica, busto e cosce molto accentuate, in forma astante, del Neolitico medio. Sono più di 130 le statuine della Dea Madre rinvenute in Sardegna nella fase pre nuragica, queste ultime del Neolitico Recente, perdono la loro sfericità per una rappresentazione piatta, così detta a T o stile geometrico cruciforme. La più caratteristica è senza dubbio la Signora Bianca di Turriga, così da alcuni nominata per l’uso del marmo nella sua realizzazione. Pare ritrovata in maniera fortuita da un contadino a Senorbì, nel 1935, oggi custodita nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Considerata una delle migliori rappresentazioni di tutto il mediterraneo, simboleggia la sacralità femminile che viene accostata alla Terra, in quanto generatrice di vita.
Sul territorio isolano invece troviamo i monumenti più significativi del nostro periodo ed in particolare le Domus de Janas, case delle fate. Abbiamo accennato alle domus de janas, con la illustrazione della Roccia dell’Elefante, presso Castelsardo, ma tantissime altre sono state realizzate sul territorio isolano e senza dubbio quelle più rappresentative le troviamo a Villaperucciu, nella necropoli di Montessu e ad Alghero nella necropoli di Anghelu Ruju. La prima collocata nel basso Sulcis è considerata la necropoli più estesa. Costituita da 40 tombe, ognuna dotata di vestibolo, ambiente di ingresso; da camera con nicchie o più camere, per questo vengono definite pluricellulari. Le più caratteristiche della necropoli di Montessu, sono: Sa creisedda, la chiesetta; Sa grutta de is porcus, la grotta dei porci; alle quali si aggiungono, la Tomba delle spirali e la Tomba delle corna, per le rappresentazioni incise o in rilievo, di richiamo simbolico e religioso. Quella invece a nord di Anghelo Ruju, è costituita da 38 tombe con due tipologie principali di accesso: a pozzetto e a Dromos, ossia a cielo aperto. Anche queste sono decorate con rilievi in pareti o pilastri, con protomi e corna taurine. Particolari sono le rappresentazioni delle false porte a simboleggiare il passaggio nell’aldilà. Altrettanto interessante sono quelle parti ricoperte di ocra rossa, a rappresentare il sangue dei sacrifici e la rigenerazione dopo la morte.
La diversità strutturale e decorativa del vasto patrimonio di domus de janas merita una visita attenta che ci lascia stupiti sempre, come per esempio, quella dipinta di Mandra Antine a Tiesi, o di S’incantu a Putifigari, in provincia di Sassari. Non meno interessanti sono le domus di Mesu ‘e Montes di Ossi; Su Crocifissu Mannu, a Portotorres, con protomi bovine. Simbolismi che ritroviamo associati con falsa porta a Sas Concas, a Padria; così pure nell’ingresso della tomba di Li Algasa, di Sedini o con protome e spirali a Pala Larga, Bonorva. Non meno suggestiva risulta la domus dipinta con motivo a scacchiera di Pubusattile, di Villanova Monteleone.
Queste alcune domus, fra le più importanti realizzate con scavo in roccia, ma altri monumenti sepolcrali vennero eretti a cielo aperto, come i Dolmen ed i Circoli Megalitici o funerari.
I primi sono maggiormente diffusi nel settentrione dell’isola e sono costituiti da grosse lastre conficcate nel terreno e ricoperte da altrettanti lastroni. Nel territorio dell’isola un censimento del 2009 ne contava 215, fra quelli più significativi e noti è, senza dubbio, il dolmen di Mores (Sassari) Sa Coveccada o S’accoveccada, in campidanese il termine s’accoveccada è ancora in uso, si dice per esempio, per una pentola, senza coperchio, messa sotto sopra, Sa pingiada accoveccada. Considerato per le sue dimensioni e caratteristiche tra i più importanti al mondo. Il monumento funebre di pianta rettangolare ha una lunghezza di 5 metri per 2,20 di larghezza, con un altezza pari a 3 metri ed è costituito da tre lastroni infissi nel terreno, il quarto sul retro è mancante. Il lastrone trachitico di copertura, misura 6 metri per 3, con uno spessore di 0,60, stimato in circa 18 tonnellate di peso. Considerato che ciò che oggi vediamo è solo parte di un intero, che si stima raggiungesse le 27 tonnellate.
Nel comune di Arzachena, in regione Li Muri, troviamo invece i Circoli Megalitici. Collocati pressoché nell’area gallurese, con estensione nella Corsica, queste particolari sepolture, del diametro compreso tra i 5 e gli 8 metri, vengono classificate appartenenti alla Cultura di Arzachena, perché qui si trova il maggior numero delle sepolture, costituite da circoli di pietra che ricoprivano l’unica cella funeraria, per un solo o al massimo due inumati. Questo aspetto fa ritenere a molti studiosi, fossero le sepolture dei capi che guidavano una società di natura aristocratica ed individualista, divisa in clan, di tipo guerriero e pastorale.
A questa fattispecie potrebbe appartenere anche il circolo megalitico di Guspini, presso il nuraghe Brunk’è S’orku, cima del monte dell’orco, in loc. Coddu de Santu Giuanni, colle di San Giovanni, detto Su corrázzu de is pillônis, il recinto degli uccelli; costituito da pietre infisse nel terreno, in doppia fila a formare una doppia circonferenza concentrica, con un diametro interno di circa 19 metri, mentre quello esterno raggiunge i 21 metri.
L’altro elemento di natura megalitica che va sviluppandosi sull’isola, sono, come detto, i Menhir o pietre fitte, considerate a protezione delle tombe neolitiche ma anche simulacri, specie quelli isolati.
Il prof. Enrico Atzeni, ha classificato questi monoliti, con rappresentazioni ora maschili, per la forma fallica, ora femminili, con le coppelle o simboli di fecondità, in tre categorie: Protoantropomorfi; Antropomorfi e Statue Menhir.
I protoantropomorfi, sono generalmente di forma ogivale e faccia piana, modellati a martellina.
Gli antropomorfi, manifestano i primi tratteggi di un viso.
Mentre le Statue – Menhir, sono rappresentate con volto a forma di T, con naso e sopracciglia.
Merita senz’altro una visita il complesso archeologico di Pranu Mattedu a Goni, una vasta area su di un ampio pianoro con diverse tipologie sepolcrali; domus de janas, allée couverte, corridoio coperto, una tipologia di sepolcro collettivo e circoli, in associazione con un’alta concentrazione di Menhir allineati. Consigliata una visita anche al sito di Biru ‘e Concas, sentiero delle teste, con circa 200 perdas fittas, nel territorio di Sorgono, provincia di Nuoro e nella valle dei menhir, così nominata a Villa Sant’Antonio, nell’alta Marmilla, in provincia di Oristano, ove è possibile ammirare una interessante concentrazione di menhir, fra i quali quello più alto in Sardegna che raggiunge i 5,75 metri di altezza.
Altrettanto interessante è l’area di Laconi, in provincia di Oristano, che annovera il ritrovamento di oltre 100 menhir del tipo protoantropomorfo e antropomorfo, ma certamente le pietre fitte più interessanti sembrano essere le statue-menhir o statue-stele con rilievi anatomici e tratteggi del viso. Una importantissima rappresentazione la si può ammirare visitando il Museo della statuaria preistorica, ospitato nello storico palazzo Aymerich.
Chiudiamo questo importantissimo periodo che narra di una Sardegna viva con comunità operose e spiritualmente evolute, parlando brevemente dell’unico monumento religioso di Monte d’Accoddi a Sassari. Di tradizione orientale, chiamato ziqqurat o ziggurat, sono delle piattaforme culturali sovrapposte, diffuse in particolare nella Mesopotamia. Questa nostra opera monumentale, che rimane per il momento ancora l’unica rinvenuta nell’isola, vine considerata il santuario pre nuragico più importante. Il luogo alto, così viene anche definito il monumento, perché l’attenzione del l’uomo, nel Neolitico Recente, non era rivolta solo alla terra, alla Dea Madre, scriveva il Prof. Lilliu, ma anche alla Signora del Cielo. Aspetto quest’ultimo della divinità che dimora nel cielo e che il Prof. Lilliu ritrovava nelle raffigurazioni solari, nei motivi stellari della ceramica o in quella simbologia evocante il dualismo sole/luna. Il luogo alto quindi, era lo spazio tra cielo e terra ove poteva avvenire l’incontro con le divinità. Sulla terrazza era edificato un sacello, un edificio a pianta rettangolare, con i muri intonacati di rosso, per questo chiamato anche Tempio rosso. Il prof. Ercole Contu accosta il santuario di Monte d’Accoddi all’altare che Jhwé, nel libro dell’Esodo, ordina a Mosè di costruire.
Tremila e seicento anni che meritano d’essere scoperti e riscoperti costantemente, perché parte pregnante della nostra storia culturale, ricca, come abbiamo visto, di un importante sviluppo delle comunità umane e di interessanti produzioni vascolari e litiche, legate alla vita domestica ed impregnate di profonda spiritualità. Testimoniata, quest’ultima, dai diversi e antichi monumenti a noi pervenuti, non ultimo, il grande altare di Monte d’Accoddi.