Sos Craeddos ai funghi o Lisanzas al ragù di cinghiale_di Michele Licheri

Percorrendo l’isola in lungo e in largo, il viaggiatore, può constatare e scoprire facilmente la varietà multiforme e policromatica delle nature, che per colori, sapori, odori e suoni conferisce alla Sardegna, pur in scala ridotta ma altrettanto originali, i caratteri di un vero e proprio continente.

È naturale che il viaggiatore, attento per sua natura a cogliere il particolare, il carattere originario dei luoghi, più del “turista mordi e fuggi”, voglia approfondire la conoscenza; e quale migliore occasione e mezzo degli alimenti, della cucina, del mangiare – per altro occasione piacevole! – per apprendere dell’etos e dell’etnos, dei costumi e dell’anima di un popolo?

Mangiare, quindi; e mangiare bene per conoscere. E imparare ad arricchirsi attraverso le rispettive diversità-differenze.

Se l’uomo è ciò che mangia e il mangiare è piacere, oltre che necessità, la qualità del prodotto offerto è rappresentato dall’estetica del fare capace di rievocare e di farsi economia. Buon gusto e forma, allora, e non solo per consumare ma per gustare.

Sono stato incaricato dal Direttore di suggerire al lettore dove andare a mangiare qualcosa di particolare, oppure nel segno della trazione, nel Guilcier.

Il Guilcier – di cui i più hanno perso memoria – è una regione situata a centro ovest della Sardegna, esattamente (guardando sempre a Nord) tra la riva ovest del lago Omodeo e il Montiferru. Le arterie principale SS 131 e 131 bis, nonché la ferrovia CA-SS la attraversano. La caratteristica è di un altopiano basaltico che ad est digrada calcareo e sabbioso verso il fiume Tirso; e a sud verso il campidano di Oristano. A nord incontra la catena del Marghine, a ovest quella del Montiferru. Non mancano i boschi – quelli risparmiati dalla furia cieca degli incendiari- per lo più querce da sughero e da ghianda; sporadici i lecci; però, per la maggior parte il territorio è pascolo per ovini, anche se non mancano i bovini. Centri di rilievo, i paesi di Sedilo, Ghilarza, Abbasanta, Norbello, Paulilatino.

Chi avesse interessi archeologici, tra Domus de Janas, tombe dei giganti, nuraghi etc. non ha che da sciegliere trovando in loco anche studiosi ed esperti in materia; chi volesse invece andare per funghi, asparagi, finocchietti o cicoria non ha che da cominciare. Mi preme rilevare che la regione è la capitale “de s’antunna” il pregiato e carnoso fungo che niente ha da invidiare al più blasonato porcino reale.

Qualora si voglia approfondire la conoscenza del Guilcier (se ne parla già dalla fine del XII secolo) vi consiglio di consultare il condaghe di Santa Maria Di Bonarcado.

Naturalmente l’economia portante, a parte un po’ d’artigianato, terziario ed edilizia, è quella pastorale. E tal economia – quantunque le pressioni consumistiche dei tempi – caratterizza in gran parte la cucina tradizionale del luogo. Infatti, come le stagioni determinano semina e allevamento, così le stesse determinano i menù.

E di quest’avviso è la titolare del ristorante AL MARCHI di Ghilarza, prima tappa del nostro itinerario gastronomico. AL MARCHI si può gustare quanto di meglio la cucina tradizionale del posto offre per qualità e varietà. Dagli antipasti di terra compresi i salumi, i funghi, gli asparagi o i carciofi, ai primi. Notevoli “sos craeddos ai funghi”, o i ravioli sempre ai funghi; o lisanzas al ragù di cinghiale. O ancora zuppa ai finocchi o agli asparagi.

Oppure se la scelta dovesse cadere sui secondi (naturalmente se la stagione lo permette): sempre il cinghiale, o la capra al sale; o perché non una bella treccia con piselli con patate o carciofi; oppure l’agnello arrosto con patate o sempre con carciofi; oppure una grigliata di carni miste; o l’onnipresente maialetto arrosto avvolto nel mirto; che ne direste di una buona trippa come quelle che le nostre nonne preparavano una volta! O di un aromatico piatto di “pezza imbinada” o di piedini d’agnello; o in alternativa ancora la capra però ai cardi; e in conclusione un po’ di ricotta al miele o ancora una seada o dolcetti tradizionali della festa; amaretti, marigosus, gateau (gatto), pardulas, papassi- nos etc. bagnati con del moscato o del nasco di Cagliari.

Quanto di meglio la tradizione ha, AL MARCHI lo offre. E non crediate a prezzi proibitivi! Un pasto medio si aggira sui 30 euro. Vino escluso. Pur essendo il menù tradizionale di terra la proposta portante del locale, considerato che il mare e Oristano sono solo a trentacinque chilometri, qui si cucina anche il pesce e sempre con originalità e raffinatezza.

Canti a tenores a parte, se dovessi scegliere una musica per accompagnare i pranzi e le cene del MARCHI, la scelta ricadrebbe sull’Orchestra Mediterranea di Andrea Alberti, Antonello Salis, Famoudou Don Moye, Maria Pia De Vito. In alternativa il repertorio verdiano: bassi, baritoni e tenori, soprani la farebbero da padroni!

Seconda tappa del nostro personalissimo itinerario è il GONGILLUS di Norbello. Qui non aspettatevi un menù tradizionale bensì una serie di proposte estreme e dai sapori e dagli aromi inusuali di altissima fattura. Certo trovate anche un piatto di mallored- dus ma non al ragù sardo, ovvero con came di maiale, pecora e manzo, ma alle erbette o ai capperi e in altri modi variopinti e aromatizzati. In questo locale, ricavato all’interno di un vecchio caseificio, situato in Piazza Berlinguer, la fanno da padrone i carpacci, le zuppe tra nord e sud del mondo, la came di struzzo (d’altronde non c la Sardegna un centro pilota nazionale nell’allevamento di questo grande e veloce bipede, il più ricco in assoluto di emoglobina e ferro?); ma si cucina anche il maiale e il manzo; oltre che le anguille. Qui al GONGILLUS l’aroma del pepe nero e verde si fa intenso, il curry, l’aceto aromatico e gl’incensi vi toccano le corde olfattive con gaudio e delicatezza al pari delle melodie di un quartetto tzigano; l’aroma delle erbe aromatiche vi giungono sempre in minore o in piccoli stacchi in maggiore simile alle melodie tenui di cui era capace Chet Backer; capperi, cipolla, aglio vi giungono in sordina come virtuoso condimento sulle onde magiche del trombettista Fresu. Il locale è anche “wine-bar” e una costante colonna sonora dei BUDDHA BAR non guasterebbe.

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