UN ROMBO HA SPACCATO IL CIELO_di Massimiliano Morelli

Un senso di vuoto nella serata in cui ascolto consueti refrain, aneddoti conosciuti a menadito, etichette storiche ribadite a distanza di anni. Tipo quel “Rombo di tuono” esternato da Gianni Brera che fa svanire in un amen tutti i nomignoli di chi negli anni ha voluto emulare, senza riuscirci, quel genio del giornalismo passato a miglior vita troppo in fretta. Se un romano con natali alla Garbatella come me tifa Cagliari, il merito è di Gigi Riva. E’ stato idolo di infanzia e adolescenza. L’unico sportivo che ho amato. Diverso dagli altri, imparagonabile con quelli che nel circa mezzo secolo che ci separa dal suo addio al calcio, hanno indossato scarpe da pallone per far gol.

Scorre in maniera veloce il film d’una vita calcistica troppo breve e solo per questo imperfetta. Due incidenti di gioco per difendere la maglia della nazionale, cui s’aggiunge l’addio del primo febbraio 1976. I gol, i sogni a occhi aperti, l’amore per la Sardegna, la capacità di regalare un senso di appartenenza senza eguali. I “no, grazie” ad Agnelli e Boniperti, il rispetto degli avversari conquistato dentro e fuori il campo, l’amore di un popolo capace di farlo sentire in famiglia. Importante, per lui, rimasto orfano quand’era ragazzo. Quella capacità di essere sempre super partes, delicato negli atteggiamenti ma ferreo nella su fierezza di uomo tutto d’un pezzo. Gigi Riva è passato si è addormentato per sempre. E’ nell’altra stanza. Ma io sogno a occhi aperti che da un momento all’altri si svegli e mi dica “andiamo a dar due calci a un pallone”.

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