La prima fabbrica di cioccolato a Cagliari_di Andrea Coco

A Cagliari, c’era una fabbrica di cioccolato. Proprio così. Una fabbrica che ottenne anche premi, lusinghieri riconoscimenti nazionali e persino l’apprezzamento ufficiale di Sua Altezza Reale il Duca d’Aosta, cioè il nipote di colui che nell’800 era stato il primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II.

Fu creata subito dopo la prima guerra mondiale, in un periodo di ripresa ma difficile, un periodo in cui nella penisola si cominciavano a delineare importanti strategie economiche a grande respiro, come per esempio l’alleanza tra Buitoni e Perugina, destinate, con la loro fusione che avverrà solo negli anni 70, a diventare un colosso dell’alimentare. Ma pensare a investimenti industriali di rilievo per di più in un’isola povera e depressa come la nostra, a quei tempi era un vero e proprio azzardo. E dunque, chi era il pazzo targato Quattro Mori che aveva avuto il coraggio di varare una fabbrica del genere nientemeno che in Sardegna?

   Il Willy Wonka in questione si chiamava Vincenzo “Ciccio” Coco, un giovane imprenditore di origini salentine (Coco con una sola “c” è cognome diffusissimo proprio in Puglia e in Sicilia), nato per la precisione a Lecce nel 1879, che a 18 anni era stato costretto a lasciare gli studi e insieme con le sue sorelle a seguire i genitori in Sardegna dove suo padre aveva trovato lavoro presso i Monopoli di Stato. Niente più studi, dunque, ma subito lavoro anche per lui, per necessità certo, per aiutare la famiglia, e possibilmente per rendersi al più presto indipendente. Il futuro industriale del cioccolato, così, cominciò come rappresentante di commercio, un mestiere che non abbandonerà più.

   Quando scoppiò la grande guerra del 15-18, Ciccio Coco era sposato (con una cagliaritana) e già padre di tre figli. Il lavoro andava bene, eppure in lui si faceva sempre più strada lo spirito imprenditoriale e in particolare l’idea di quella fabbrica, idea maturata peraltro in un settore, quello alimentare e dei dolciumi, che lui conosceva bene, visto che ci lavorava ormai da quasi vent’anni; così come conosceva personalmente importanti industriali dell’epoca, quali lo stesso Buitoni o Achille Brioschi -l’inventore delle bustine effervescenti per rendere frizzante l’acqua potabile- che qualche suggerimento dovevano pure avergli dato. D’altra parte, aldilà degli svizzeri, il mercato del cioccolato allora era in pratica monopolio dei piemontesi, in testa la Caffarel, nata pochi anni prima, all’inizio del 900. E dunque ipotizzare che ancora ci fosse spazio in un settore in continua ascesa, non era certo follia, anzi!

   Fu così che intorno al 1920, subito dopo la guerra, “Ciccio il dolce” se così possiamo chiamarlo, cominciò la produzione come ditta individuale nella fabbrica sorta nella via Sonnino, allora al civico 33, due soli piani fuori terra circondati da una lunga recinzione esterna e da un cortile laterale. Oggi in quel sito ci sono due palazzi, compresi tra i numeri civici 135 e 149.

   Nel 1923, precisamente il 27 ottobre, con atto rogato dal notaio Eraclio De Magistris, fu invece costituita ufficialmente l’Industria Sarda Cioccolato ed Affini (I.S.C.A.) denominata COCO & C., “società anonima” della quale Vincenzo Coco era naturalmente il principale amministratore. L’altro, il “C.”, il “compagno” di quella società, era il suo amico e uomo di fiducia, il ragionier Eraclio Mereu, che lo accompagnerà a lungo nel lavoro anche dopo la fine di quell’avventura, nell’anno della grande depressione, il 1929. Per la società, capitale sociale 240mila lire (allora una fortuna), erano state emesse 960 azioni da 250 lire ciascuna, alcune delle quali sono ancora reperibili presso qualche antiquario o collezionista.

   I macchinari, allora modernissimi, in parte erano stati acquistati in Svizzera per la produzione più varia: cioccolato in tavolette che veniva denominato Specialità Brigata Sassari, crema al latte “tipo famiglia”, torroni e caramelle. I dipendenti erano pochissime decine tra impiegati e operai, soprattutto donne.

   Da oggi, Capodanno, si leggeva in una singolare pubblicità, tutte le offellerie della città sono provviste della nostra specialità, Boeri. E in effetti a quanto pare, i Boeri Coco, con la ciliegina all’interno, erano particolarmente conosciuti e apprezzati, arrivati dunque 30 anni prima dei loro “gemelli” ben più famosi, quei Mon Cherì della Ferrero la cui produzione cominciò solo alla fine degli anni 50. Quella ricetta squisita Vincenzo Coco l’aveva avuta in Svizzera quando vi si era recato per l’acquisto dei macchinari. Una ricetta inventata ai primi del 900 proprio da uno svizzero, Emil Gerbeaud.

   Sin quasi alla fine degli anni 20 la fabbrica andava a gonfie vele e ottenne importanti riconoscimenti, a Roma e a Torino. Dopo una lettera di felicitazioni della Casa Reale, L’Unione Sarda, nel 1923, scrisse tra l’altro: “…Principi di sangue, fra i quali Sua Altezza Reale il Duca d’Aosta, Sua Altezza Reale la Principessa Letizia e molte personalità spiccate del mondo politico e artistico si sono soffermate a lungo nello Stand Sardo dove primeggia la vistosa e originale mostra dell’Industria Sarda della cioccolata, i cui prodotti furono trovati eccellenti sotto ogni rapporto e degni di gareggiare con le rinomate Fabbriche del Piemonte. A noi basta intanto rilevare il fatto che i giovani industriali signori Coco e Mereu non abbiano esitato a presentarsi al giudizio del pubblico Torinese, di quella Torino che tiene il primato in tal genere d’industria…”

   Alla fine degli anni 20, però, i costi diventati proibitivi soprattutto a causa dei trasporti e della conservazione del cioccolato, la spietata concorrenza che si andava sviluppando nella penisola, e non ultima la grande crisi economica e finanziaria americana che aveva avuto ripercussioni anche in Italia, segnarono la lenta decadenza di quella fabbrica e la sua definitiva chiusura proprio nel 1929.

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