Comfort food, nutriamoci di felicità_di Claudia Rabellino Becce

Una delle parole chiave dei 50 anni è sicuramente “consapevolezza”: a questo punto della nostra vita sappiamo chi siamo e cosa vogliamo.

Questa coscienza si riflette anche nel nostro rapporto con il cibo. Come con la vita sappiamo cosa ci piace e cosa non ci piace, cosa ci fa stare bene e cosa no. 

Il cibo è cultura, complessità, tradizione e ci vuole maturità per apprezzarne tutte le sfumature. Bisogna possedere una storia, dare valore all’esperienza, allenare il palato. Insomma, occorre aver vissuto.

La nuova percezione del tempo che accompagna questa età ci insegna a dare valore al vivere “slow”, a concentrarci sul qui e ora, godendo dei piccoli momenti di felicità che la vita (se la aiutiamo un pochino) sa regalarci.

Il concetto è lo stesso dello “slow food”: considerare il pasto come un piccolo momento di piacere dove ogni sapore, ogni particolare (l’atmosfera, la mise en place della tavola, gli elementi “estetici” del piatto) va goduto con l’attenzione che si merita perché “mangiare” non è semplicemente “nutrirsi”, ma sperimentare qualcosa di più complesso.

Il cibo è identità e noi abbiamo un incredibile patrimonio di ricordi. Molti di questi possono essere innescati da un sapore. Marcel Proust nel suo “A’ la recherche du temps perdu” narrava di come poche briciole di petite madeleine potessero far rivivere frammenti di passato. Oggi le neuroscienze confermano che olfatto e gusto, unici sensi ad avere un collegamento diretto con l’ippocampo, hanno un ruolo fondamentale per la memoria ed il recupero dei ricordi.  Un boccone può portarci improvvisamente indietro nel tempo, alla nostra infanzia, alle nostre radici, accanto a persone che abbiamo amato e che magari non ci sono più.

Pensiamo al profumo della torta appena sfornata nella cucina di nostra nonna o al sapore del sugo cucinato da nostra madre.

Gli americani lo chiamano “comfort food”, sono i piatti della nostalgia che richiamano atmosfere affettive e coccolano ricordandoci l’infanzia. 

A 50 anni il cibo è spesso proprio questo, una coccola che ci rende felici, perché ora abbiamo imparato a volerci bene, a prenderci il nostro tempo.

Mettersi a tavola è convivio, aggregazione, amicizia e a questo punto della nostra vita sappiamo goderne appieno dando valore alla compagnia, alla conversazione, alla condivisione.

“La cucina quando sei in zona 50 è un mix di esperienze, ricordi e progettualità. Dentro ci metti i tuoi viaggi ma anche le memorie familiari, i sapori di casa. Poi aggiungi alcuni cibi che fanno bene e fanno stare bene come il riso integrale, il riso integrale rosso, su casu axeddu, ricco di probiotici, le verdure e la frutta freschi, i legumi e un buon bicchiere di vino rosso. Ecco una dieta equilibrata e allegra” sostiene Alessandra Guigoni, antropologa del cibo, giornalista e food teller.

Ricordiamoci che l’anima va nutrita almeno quanto il corpo.

La ricetta è semplice: eliminiamo le emozioni negative, che intossicano quanto il cibo spazzatura e depuriamoci con un “superfood”, le ispirazioni positive. 

“La felicità è una responsabilità che decidiamo di prendere, e coltivarla è il più complicato impegno della nostra vita” dice Sandro Formica, inventore del Master di Economia della felicità all’Università di Palermo. “40% è la quota di felicità che dipende esclusivamente da noi”, gli fa eco Valeria Arca, brillante coach cagliaritana.

Pensiamoci. La via per essere finalmente “felici a 50 anni” passa anche da qui.

©Sardegnatavola

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