Le conseguenze dei pesanti bombardamenti subiti dalla città e la grande mancanza di lavoro costringevano nel secondo dopoguerra una larga parte dei cagliaritani a condurre una vita molto modesta all’insegna della più stringente economia. Le esigenze più urgenti erano quelle di trovare il modo e le risorse per riparare le case distrutte e cercare un lavoro, anche poco retribuito , che potesse sostenere la vita grama delle famiglie. Era un periodo di grandi sacrifici che però venivano affrontati con grande dignità e con la speranza di un futuro migliore.
Certamente è difficile fare capire le difficoltà di quegli anni ai giovani dei nostri giorni abituati a condurre una vita di benessere diffuso dove tutto è dovuto. Non esistevano le firme nell’abbigliamento e ci si accontentava di usare giacche e calzoni rattoppati magari dismessi da cugini cresciuti. L’arte del rammendo e della riparazione dei capi di vestiario era diventato una diffusa specializzazione delle mamme e delle donne in generale. La vita notturna oggi considerata assolutamente normale e indispensabile dai giovani non era neanche ipotizzata. La notte veniva utilizzata per dormire e riposarsi e le strade, poco illuminate, erano desolatamente vuote. La generale modestia della vita si ripercuoteva anche nel mangiare, i pasti, all’insegna di un necessario risparmio, erano molto frugali. I cagliaritani usavano con estrema attenzione le scarse risorse finanziarie a disposizione per acquistare gli alimenti necessari per preparare un “pranzo”.
La spesa veniva fatta prevalentemente nel non dimenticato mercato del Largo Carlo Felice dove era possibile trovare quanto serviva per preparare un “prangiu” anche modesto. La grande risorsa dei cagliaritani era la riconosciuta capacità di saper scegliere bene le verdure, la carne, i pesci e la frutta esposte pur disponendo di portafogli“mezzo vuoti” Si assisteva a continue contrattazioni sulla qualità delle merci esposte e si scambiavano tra gli avventori continui suggerimenti per preparare piatti sempre più gustosi.

L’aspetto forse più importante era la riconosciuta capacità delle padrone di casa di riuscire a preparare piatti appetitosi con lo scarso materiale a disposizione.
Venivano preparati sapientemente in tal modo “in economia” vari tipi di ravioli , sa burrida, su pesci a scabecciu, sa cassola, le sardine e tantissimi altri manicaretti a base di verdure, pesce e carne non molto costosi ma estremamente appetibili .
In questo clima di generale e necessario risparmio il pranzo di Pasqua era l’occasione tanto attesa per dimenticare le normali ristrettezze e fare, almeno per un giorno e qualche ora, “la vita da signori” concedendosi il tanto desiderato lusso di un lauto pasto.
La preparazione dell’evento, il cui costo doveva essere ripartito in parti uguali tra tutti i partecipanti, iniziava sin dai primi giorni di Quaresima.
Il comitato organizzatore una volta preparato e definito, spesso con grandi difficoltà a causa degli scontati e spesso insuperabili veti, l’elenco delle persone da invitare avviava le molto complesse “trattative” per stabilire il menù da proporre il giorno della festa della Resurrezione. Si contrapponevano, secondo tradizione, i partiti dei sostenitori del tutto carne, del tutto pesce e di entrambe le ipotesi.
Solitamente però dopo lunghe e accademiche discussioni veniva approvato, peraltro secondo la tradizione, il sistema misto carne più pesce.
Risolta la quasi formalità del problema della scelta della base del pranzo il dibattito si spostava sui piatti da preparare. Sull’antipasto la discussione era sempre molto semplice e veloce, la salsiccia, il prosciutto, le olive , i formaggi e la burrida erano condivisi e accettati da tutti.
Le prime discussioni riguardavano invece il primo, una parte invero non numerosa -in particolare le persone legate a tradizioni dell’interno dell’Isola- sosteneva, che in un pranzo così importante non poteva mancare il brodo di carne, la maggioranza invece, secondo le abitudini cagliaritane, proponeva i ravioli di ricotta e bietole o la fregola condita con sugo di pomodoro e salsiccia o con arselle (cocciula).
I ravioli ottenevano quasi sempre il massimo gradimento, veniva affidato a tre donne particolarmente esperte il delicato compito di prepararli secondo la rigorosa tradizione.
Sul secondo, sentiti i vari pareri, veniva accettata all’unanimità la proposta di preparare sulla brace il maialetto (porceddu), l’ agnello (angioni), la treccia (cordula) e i muggini (lissa).
Sulle insalate e sui dolci non esistevano dubbi, all’unanimità tutti erano d’accordo sulle verdure di stagione e relativamente ai dolci venivano scelte is “pardulas”, is amarettus e is pirichittus ( secondo la tradizione quartese) nonché l’ immancabile torta di mandorle (turta de mendula).
La decisione sui vini veniva all’unanimità demandata ad alcuni dei partecipanti unanimemente riconosciuti come i più beoni del gruppo.
Alla definizione del menù seguiva la sempre difficile decisione dell’affidamento dei compiti alle varie persone. L’attribuzione degli incarichi richiedeva un certo tempo in quanto le proposte venivano valutate con grande attenzione tenendo anche conto dei risultati ottenuti dai singoli aspiranti cuochi nelle precedenti edizioni dei pranzi pasquali.
Non si poteva anzitutto prescindere dalla valutazione delle capacità che gli aspiranti a effettuare gli acquisti dovevano avere nello scegliere, spendendo il meno possibile garantendo, naturalmente, la massima qualità di carne, pesce, pane, verdure, frutta e dolci che dovevano essere proposti a persone estremamente esigenti.
A tale scopo era particolarmente importante la garanzia che i designati agli acquisti dovevano dare di rivolgersi a fornitori, possibilmente conosciuti, capaci di assicurare la massima garanzia sulla qualità dei prodotti. I gattucci di mare per preparare la immancabile burrida dovevano essere prenotati con congruo anticipo da amici pescatori di Cabras , la carne acquistata da fidati e sicuri allevatori del Gerrei o della Trexenta, sa lissa (muggini) da pescatori amici molto qualificati, le verdure nel mai dimenticato mercato del Largo Carlo Felice, dove non mancava certamente la qualità, e i dolci infine dovevano essere prenotati con notevole anticipo da due signore, particolarmente competenti di Quartu.
Uno dei partecipanti inoltre si impegnava a mettere a disposizione del gruppo una forma di graditissimo “ casu marzu”.
E’ necessario ricordare che i ”tecnici” della cottura venivano individuati con nomi specifici. La persona a cui veniva affidato il delicato compito di cucinare il sugo con la salsiccia necessario per condire i ravioli (culungionis) era denominato “ sughista” mentre chi doveva dedicarsi alla preparazione della carne era “s’arrostidori”. Quest’ultimo doveva essere molto esperto nella cottura, che durava almeno tre ore, e nelle particolari e complicate “arti” di avvicinare progressivamente la brace alla carne, di salarla e fare “su stiddiu” sgocciolando sulla stessa con un apposito spiedo, quasi al termine della cottura, lardo fuso .
Il dopo pranzo di Pasqua però, era, purtroppo, in qualche caso, del tutto diverso e in contrasto col clima amichevole degli abbracci e baci del momento in cui i commensali, parenti o amici, si ritrovavano davanti al tavolo della festa e anche dalle battute, spesso pesanti, comunque sempre allegre, che venivano lanciate tra le le portate .
I piatti proposti, tutti gustosi, rigorosamente preparati secondo le tradizioni culinarie tradizionali, venivano giudicati normalmente in modo favorevole da tutti e non mancavano mai i complimenti a chi aveva cucinato e in particolare alla “grande” perizia degli addetti agli arrosti.
Al termine del simposio l’atmosfera però in qualche caso variava completamente perché era il momento non piacevole di fare i conti e ripartire le spese ed era prassi normale ricorrere a mille espedienti per cercare di pagare il meno possibile.
Chi aveva fatto gli acquisti presentava il conto: il padrone di casa era solito elencare all’inizio del rendiconto le spese di carattere generale effettuate che comprendevano sempre il costo del pane, dell’olio, della farina, delle verdure, degli antipasti, del carbone e della preparazione del tutto. Solitamente le somme elencate venivano riconosciute da tutti.
I veri problemi, invece, sorgevano quando venivano enunciati i costi della carne, del pesce, dei dolci e del vino che erano quasi sempre giudicati da chi intendeva ridurre il proprio contributo finanziario troppo alti o comunque non rispondenti alla reale quantità utilizzata per la cottura.
Emergevano in tale momento , quasi sempre da parte dei soliti critici, seri dubbi, stranamente dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, sulla stessa qualità di quanto era stato acquistato che da alcuni veniva addirittura giudicato scarso e comunque non adeguato ad una occasione così importante come il pranzo di Pasqua.
Le precisazioni degli accusati non servivano quasi mai a placare le polemiche e a convincere gli interessati contestatori anche perché l’abbondante vino bevuto accendeva notevolmente il dibattito che si trasformava talvolta in un acceso diverbio verbale condito da espliciti riferimenti ai vari soprannomi, spesso molto volgari, e addirittura dalle pesanti minacce di passare a antipatiche e inopportune vie di fatto.
La parola a un certo punto della discussione passava alle donne, la maggior parte ancora sobrie, che forti delle giornaliera frequentazione di mercati e botteghe e a sostegno degli interventi dei mariti, lanciavano sospetti e accuse e cercavano di analizzare i costi chiedendo con un del tutto inopportuno e antipatico tono inquisitorio spiegazioni a chi si era assunto il pesante onere di fare la spesa lanciando sospetti e accuse.
I chiarimenti ottenuti però quasi mai venivano giudicati soddisfacenti: spesso le signore dimenticando le parentele e le amicizie pluriennali, andando sicuramente fuori tema si allargavano nei loro interventi arrivando ad accusare alcuni dei commensali di aver approfittato della circostanza per mangiare e bere più degli altri e aggiungendo giudizi molto pesanti e volgari su alcuni dei presenti contribuendo in tal modo ad aggravare in modo irrimediabile la già pesante situazione.
Si arrivava quasi sempre al momento in cui si accusava qualche signora di puzzare e di avere disgustato tutti col suo olezzo e chiedendole di lavarsi. Era anche inoltre abbastanza frequente che qualcuna venisse accusata di avere messo una buona quantità di dolci in un busta da portare via. Logicamente le accuse comportavano reazioni da parte delle interessate che, dimenticando i legami di strette parentela e amicizia , apostrofavano le accusatrici con frasi e concetti altrettanto scurrili e volgari.
Il clima diventava a questo punto invivibile perché i bollori, agevolati dai fumi del vino, non potevano essere in nessun modo fermati. Al padrone di casa non restava altro , anche per evitare ulteriori problemi , che invitare tutti ad andare a casa riservandosi di vedere in un momento successivo i conti e i rimborsi con calma con gli interessati ripromettendosi, naturalmente, di non organizzare mai più il pranzo di Pasqua .