Marina e Stampace, cuore e ventre di Cagliari_di Lorelyse Pinna

Quando Cagliari dovette rialzarsi dagli orrori della guerra, dalla distruzione dei bombardamenti che ne avevano sfregiato il volto, dalle privazioni e dalla sofferenza, è da qui che ripartì, dai suoi quartieri storici affaciati sul porto: Marina e Stampace, il suo cuore, ma anche il suo ventre. Come racconta Giampaolo Lallai, le prime “piole” aprirono tra le macerie, spartane sia nell’arredamento che nel vasellame e nelle posaterie, tra Sant’Avendrace e le stradine della Marina. E se l’aspetto non era proprio dei migliori, la cucina la faceva da padrona: una cucina semplice, fatta di ingredienti non nobili, ma generosa nel gusto e nelle quantità.

Qui si incontravano persone di ogni genere, dai professionisti agli studenti, dagli artisti agli impiegati, che intorno ai piatti della tradizione cagliaritana si conoscevano e stringevano amicizie. C’era la voglia di ricominciare a vivere, di dimenticare “cussu famini” che intristiva non solo lo stomaco ma anche la mente. Nascevano leggende intorno ai “record mangerecci” di alcuni “campioni locali” e così un piatto di pasta e fagioli, di “burrida” o di “robb’ ‘e macellu” contribuirono alla rinascita di una città. Poi nel Largo c’era il mercato, con il suo vociare e i suoi odori, diviso in due complessi, uno dedicato alla frutta, alla verdura e alla carne bovina, e l’altro al pesce (il più frequentato e chiassoso nei ricordi di Lallai).

Già intorno agli anni Cinquanta le cose cambiarono: il mercato del Largo venne abbattuto nel 1957 tra le polemiche dei cagliaritani, e, come ricorda Lallai, l’offerta della ristorazione cittadina iniziò ad aumentare e a farsi più varia. In particolare si distinse tra i ristoranti del quartiere Marina, dove si riunivano i buongustai e i “sazzagonis” indigeni, e quelli di “su brugu”, con una cucina più casalinga ed economica, destinati ai pendolari che studiavano o lavoravano in città. Era il segno tangibile che Cagliari ce l’aveva fatta.

Cambiano i tempi, ma i luoghi non cambiano: ancora oggi i quartieri sul porto sono i più ricchi di ristoranti e trattorie, ma anche di bar e locali in cui mangiare un pasto veloce, take away, street food, il tutto basato sulla cucina locale e non. Tutt’ora è qui, tra le viuzze strette della Marina e di Stampace, che l’offerta mangereccia della città trova il suo spazio privilegiato. Sarà perché vi si concentra la vita notturna cittadina, insieme al turismo che da qualche anno premia con sempre maggiori presenze la bellezza del capoluogo, ma forse è anche l’eco della storia che rende questi luoghi affascinanti anche agli occhi dei non cagliaritani. Sono tanti i nuovi ristoranti che hanno aperto negli ultimi anni, portando nei luoghi simbolo della tradizione culinaria “casteddaia” sia le altre tradizioni sarde e italiane, alcune volte insieme, che quelle di altri paesi anche molto lontani. E poi la cucina vegana, quella “sperimentale”, o quella casalinga degli immigrati che abitano i quartieri e i cui profumi si mescolano con quelli nostrani, facendo venire l’acquolina in bocca ai visitatori.

Marina e Stampace continuano a rappresentare il cuore e “il ventre” di Cagliari. Tutto trova posto in queste vie che non sono vetrine, immobili, ma piene di vita, sempre disposte a trasformarsi, pur non perdendo la loro veracità.

©Sardegnatavola

Vedi anche

Cagliari la grassa_di Paolo Fadda

C’è qualcuno che sostiene che i cittadini di Cagliari si potrebbero dividere in “quelli che …