Lo zafferano è una pianta della famiglia delle Iridaceae che viene coltivata in Asia minore e in alcune aree del bacino mediterraneo tra cui spicca la produzione sarda, ormai rinomata a livello internazionale per la sua qualità.
Dallo stimma trifido si ricava la spezia denominata “zafferano”, utilizzata in cucina ed in alcuni preparati medicinali.
Non molti sanno che il nome latino di questo fiore, crocus sativus, rimanda alla mitologia greca secondo la quale il Dio mercurio, esercitandosi sul lancio col disco, colpì a morte l’amico Crocos e ,per ricordarlo in eterno, colorò col suo sangue il fiore che ancora oggi ne porta il nome.
Su Zaffanau per i sangavinesi è molto più di un piccolo fiore violaceo che per quindici giorni fiorisce per le campagne ; in esso vi è racchiusa la tradizione di un paese che da secoli si tramanda ,di padre in figlio,i segreti della sua coltivazione, dall’aratura del terreno alla raccolta dei fiori, dalla loro pulizia alla lavorazione che ne segue, tutto secondo riti che si perpetuano invariati da secoli.
È una storia di anziani, di uomini e donne di bambini allegri e spensierati che per quindici giorni l’anno riscoprono l’attaccamento alla terra e con esso le proprie radici rurali che a San Gavino ,come in tutta la Sardegna, non sono mai andate perdute.
Ce lo racconta Silvano Ariu, 69 anni compiuti, che per tutta la vita si è diviso tra il lavoro in officina e il lavoro in campagna. Il suo racconto ci catapulta nel passato e nonostante i ricordi del lavoro in campagna siano duri i suoi occhi brillano di gioia nel raccontare come, allora come oggi, niente sia cambiato.
La sua giornata iniziava la mattina presto in officina e nella pausa si correva in campagna ad aiutare nella raccolta del preziosissimo fiore. Per quindici giorni lui come tutto il paese era in fermento, ognuno con il suo gruppo di parenti e amici si incontrava nelle campagne, il lavoro di raccolta era quasi esclusivamente femminile ma tutti davano una mano.
La fase della raccolta dei fiori era delicatissima e richiedeva grande pazienza;bastava un piccolo errore per danneggiare il bulbo perciò tutti lavoravano con perizia:“ un gruppo passava la giornata chino sul terreno a raccogliere uno per uno i fiori di zafferano, gli altri caricavano i fiori su grossi cesti e a piedi si recavano ognuno nelle proprie case dove attorno ad un tavolo, tra is contus degli anziani e i pettegolezzi delle padrone di casa si passava alla seconda fase ,la pulizia del fiore”.
Alla pulitura del fiore partecipavano donne e uomini ,ognuno con il suo piatto davanti staccavano delicatamente lo stimma dal fiore e lo posavano delicatamente sul piatto.
I bambini più grandi davano una mano mentre i piccoli stavano davanti al fuoco mangiando caldarroste e guardando i più grandi al lavoro con la voglia di crescere e di poter partecipare anche loro ad un lavoro che coinvolgeva tutto il paese.
Tutto si svolgeva immutato per quindici giorni tra campagna e casa, la pulitura doveva essere fatta entro la giornata e si andava avanti fino a notte fonda per evitare che il fiore avvizzisse e che la qualità del prodotto non fosse compromessa.
Alla fase della pulitura seguiva quella de sa feidada, una pratica in uso esclusivamente a San Gavino per la quale ci si ungeva le mani d’olio extravergine d’oliva e si manipolavano gli stimmi in modo da renderli brillanti.
L’ultima fase consisteva nell’essicazione degli stimmi, che poteva essere all’aperto nelle belle giornate o vicino al fuoco nelle giornate di pioggia.
Essicati , gli stimmi venivano riposti in barattoli di latta e li venivano conservati al buio e sbriciolati al momento dell’uso.
Allora come oggi lo zafferano veniva utilizzato non solo per la preparazione di piatti tipici del luogo, come is malloreddus alla campidanese, ma venivano anche venduti specie alle case farmaceutiche che lo utilizzavano per la preparazione di medicinali o a ditte specializzate che se ne servivano per estrarne coloranti per pelli di lana.
Ora esistono tanti intermediari per poter vendere lo zafferano ma fino a una cinquantina d’anni fa per le strade del paese potevano vedersi is zaffananaiasa, delle donnine anziane solitamente vestite in costume sardo che arrivavano dalle zone più disparate della Sardegna per acquistare la preziosa spezia ma non solo; arrivavano donne e uomini anche dall’Italia per poter acquistare questo prodotto che col passare del tempo otteneva un prestigio sempre maggiore.
Il lavoro nei campi non era esclusivo di chi possedeva terreni, è il caso di Giuseppina Angei 95 anni, la quale si recava da “ziu Petroniu Sanna” uno dei più grossi possidenti terrieri di San gavino e in cambio del suo lavoro di raccolta nei campi veniva pagata con “dusu imbudus de frois de zaffanau”, dei cilindri di legno che potevano contenere una certa quantità di fiori che poi una volta a casa venivano puliti e lavorati insieme ai familiari.
Spesso oltre al pagamento in zafferano vigeva e vige tutt’ora una sorta di baratto alimentare: il prezzo dell’olio d’oliva si avvicinava molto a quello dello zafferano e gli scambi tra i due beni erano all’ordine del giorno.
“La lavorazione dello zafferano era quasi esclusivamente femminile”, ce lo racconta Paolo Orrù,80 anni, agricoltore da generazioni, il quale si occupava della fase iniziale, l’aratura a cavallo.
Era quest’uomo che insieme a pochi altri si occupava dell’aratura dei campi, “ una procedura molto particolare se si pensa che per la coltura dello zafferano si è passati alla motozappa solamente quest’anno e solamente per l’assenza di cavalli da impiegare per questo lavoro”.
Per lui passato e presente si sono fusi e da ormai 50 anni che si occupa dello zafferano ed è una sorta di vate della tradizione rurale sangavinese; anche quest’autunno si è dedicato anima e corpo alla campagna insieme alla moglie e ai suoi cari e tutti insieme hanno lavorato come fanno ormai da una vita.
La sua storia differisce un po’ dalle altre, lui si occupava solo dell’aratura mentre le donne si occupavano del resto, lui stesso l’ha definito “il lavoro femminile per eccellenza, uno dei pochi che veniva completamente organizzato dalle donne e i cui guadagni venivano utilizzati dalle stesse per l’amministrazione delle spese familiari”, che in Sardegna è da sempre spettato alle donne.
Anche Angela Ariu,65 anni si occupa da una vita di zafferano, fin da bambina da quando guardava incuriosita quei fiorellini viola che una volta l’anno riempivano le sua casa, e ,crescendo, ha imparato questa lunga tradizione. Infatti una volta che il padre decise di smantellare la campagna e di dividere i bulbi fra i figli, Angela decise di portare avanti la tradizione sangavinese; lei come tanti compaesani decise di non staccarsi da quella terra che le aveva dato tanta ricchezza nella sua infanzia, ricchezza fatta di piccole cose, dal lavoro condiviso con gli altri all’amore per la terra ereditato dai genitori, dalla gioia di poter continuare una tradizione che perdura da secoli.
Il suo racconto è carico di riti che potremmo definire pagani,intendendo con tale parola l’amore e il rispetto che lei come tutti i contadini qui a San Gavino nutrono nei confronti della campagna: “c’era l’usanza di riportare i fiori privi degli stimmi in campagna e riversarli sul terreno, ciò che dava la terra doveva essere riportato alla terra” un rito molto suggestivo che ancora oggi sopravvive insieme a quello di “ circondare il perimetro del terreno con dei sassi ricoperti di calce bianca e spesso anche con u mustaioi, una canna con legato un panno bianco che serviva per avvisare i pastori della presenza di zafferano e di conseguenza dell’impossibilità di far passare le greggi attraverso il campo”. Dopo la raccolta dello zafferano rimangono solamente sa crie, dei rametti verdi che se venissero strappati dalle pecore danneggerebbero irrimediabilmente il bulbo e con esso il raccolto dell’anno successivo.
È straordinario come le tradizioni legate alla terra riescano a sopravvivere nel tempo fino ad oggi e San Gavino Monreale e la sua tradizione dello zafferano non sono altro che l’ennesima conferma.
In Sardegna esiste ancora un legame con la natura che resiste e si rinnova di anno in anno, e nonostante questa sia l’epoca della tecnologia e del futuro qui nell’isola l’amore per la vita rurale perdura.