A tavola con Oliviero Diliberto: ecco la mia Cina_di Roberto Lai

In una tiepida serata del mese di febbraio incontro Oliviero Diliberto per una cena a base di piatti tipici della cucina sarda: “maialetto di latte nativo dell’isola di Sant’Antioco – località Triga”, bottarga, carciofi, polpo verace della laguna sulcitana cucinato con patate. Siamo ospiti della famiglia Pinna che vanta origini sulcitane, trapiantata a Roma da oltre una generazione. Lo scenario intorno a noi toglie il respiro: ci  troviamo nel cuore della via Appia Antica, in una villa storica immersa in un grande parco che abbraccia la Caffarella. La prestigiosa villa cela nei suoi sotterranei un’antica villa romana. Gli occhi si perdono tra mosaici e strutture millenarie: in queste camere, dove il tempo si è fermato, hanno girato una scena del serial tv Romanzo criminale (l’uccisione del boss “Er Terribile”), interpretato da Marco Giallini. Tra le tipiche pietanze della terra sarda, si parla di attualità:  Covid -19, Cina, politica, università. Approfitto della situazione per fare  qualche domanda all’ex ministro che oggi insegna in Cina alla Zhongnan University of Economics and Law, proprio a Wuhan, una delle sei università migliori del Paese”.

Oliviero, tra un piatto e l’altro parliamo del tuo percorso  post politico, non certo di una nuova vita considerato che non hai mai abbandonato l’insegnamento.

 Ho abbandonato la politica ormai 10 anni fa, senza alcun rimpianto, nel senso che io ho lasciato la politica ma anche l’Italia ha lasciato la politica, perché quella di oggi non è politica. Se uno non può fare un ragionamento, ma deve fare un twitter, se un dirigente politico non dirige ma si fa dirigere dalla pancia della gente, per me questa non è più politica, e allora la mia generazione è bene che si faccia da parte.

Come vedi i nuovi dirigenti politici. Ti ritrovi in questa nuova classe dirigente?

La parola dirigente indica proprio chi dirige, e per dirigere ci vogliono delle attitudini, delle conoscenze, ci vuole un’esperienza, una scuola, un partito che ti abbia formato. Se invece oggi l’idea è che chi fa politica sia un mascalzone a prescindere, è chiaro che è finito tutto. Io non è che non mi ci ritrovo, diciamo che è la classe dirigente a non esistere più.

Quindi nessun rimpianto politico?

No, nessuno. D’altro canto, rispetto a tanti altri della mia generazione di politici, io non ho mai lasciato il mio lavoro. Ho continuato a insegnare sempre, ricoprendo ruoli anche importanti, un po’ perché mi piaceva, e quindi sarebbe stata un’amputazione non insegnare, ma un po’ anche perché ritenevo giusto continuare a mantenere i rapporti con la società. Vedere i giovani che cambiano di anno in anno e che rappresentano pezzi rilevantissimi di società, perché incarnano la classe dirigente di domani, mi ha aiutato anche a non perdere i contatti con la società medesima.

L’universita’ di ieri è cambiata rispetto all’universita’ di oggi?

Proprio quest’anno io ho fatto 41 anni di insegnamento, perché ho iniziato molto giovane; l’università è cambiata profondamente; da un’università, quando ho iniziato io, dove i professori erano pochi e gli studenti erano tantissimi, i professori erano abbastanza distanti dagli studenti, oggi, almeno parlo per me, io vivo in mezzo agli studenti, non vi e’ alcuna barriera. Di contro l’università si e’ anche evoluta in peggio, perché il cadere delle barriere è si un fatto positivo ma la progressive burocratizzazione di qualunque nostra attività sottrae tempo prezioso all’insegnamento e alla ricerca perché devi compilare i moduli.

Parliamo ora del tuo prestigioso incarico in Cina. Parlaci di questa nuova esperienza d’insegnamento in una realta’ oggi purtroppo in prima linea per questo problema mondiale del coronavirus.

In realtà  ho iniziato a frequentare gli ambienti universitari cinesi nell’ormai lontano 1999, perché in quel momento ero Ministro della Giustizia, e i cinesi proprio allora avevano deciso di dotarsi di un codice civile che prima non avevano. Era una scelta inevitabile, nel senso che con l’apertura al mercato c’era la necessità di regolare i contratti, la proprietà, l’usufrutto, tutti i rapporti di tipo privato. Avevano lungamente discusso tra loro su quale modello adottare: se quello anglosassone o quello romanistico, cioè quello nostro e di quasi tutto il mondo in verità. Alla fine scelsero il modello romanistico, e cioè costruire il codice con le categorie del vecchio diritto romano, come è successo con il codice napoleonico, con il codice italiano, il codice giapponese, tutti i codici dell’America Latina. In quel momento, nel ’99, quando presero questa decisione, nella patria del diritto romano, in Italia, c’era il sottoscritto, un Ministro della Giustizia che insegnava diritto romano ed era per giunta comunista, quindi diciamo che meglio di così non poteva andare. Mi invitarono in Cina, da lì incontrai il Ministro della Giustizia cinese, tenemmo un primo congresso a livello istituzionale sulla nuova codificazione cinese, e da lì cominciò un percorso che nel 2016, quindi quattro anni fa, mi ha portato ad avere il grande onore di avere la cattedra di Diritto Romano all’università dalla Zhonnan University di Wuhan, che e’ una delle prime sei università di tutta la Cina, e quindi nel 2019 a diventare anche il preside della stessa facoltà. Poi sono diventato anche preside in Italia, quindi la mia vita è profondamente cambiata. Tempo libero praticamente zero.

Universita’ a tempo pieno

Eh si, h24.

Che rapporto hanno gli studenti cinesi con un professore di diritto romano italiano; che rapporto si è instaurato tra voi, come si svolgono le lezioni, in lingua italiana con l’ausilio di un traduttore?

Io insegno in italiano. C’è una parte della platea che nel frattempo ha imparato la lingua italiana, perché alla facoltà di Giurisprudenza in Cina si insegna la lingua italiana, la lingua del diritto. Io sono sempre affiancato da una collega cinese che si è formata in Italia, è una mia allieva che parla l’italiano perfettamente e laddove non capiscono interviene lei. Ed è un rapporto molto bello, perché gli studenti cinesi, per usare una vecchia espressione, hanno fame, fame di sapere, fame di arrivare, fame di raggiungere traguardi, e hanno una fame proprio da prima generazione che si affaccia a questo mondo nuovo. Steven Jobs del resto diceva “siate curiosi, abbiate fame”. Ovviamente è molto diverso il mondo dell’università cinese rispetto al nostro. Faccio un esempio soltanto. Il professore non fa lezione seduto. Il professore fa lezione in piedi. Seduti stanno gli studenti. Ma il professore per rispetto nei confronti degli studenti sta due, nel caso mio anche tre ore in piedi!

Bellissimo, non ne ero a conoscenza…

E’ un segno di rispetto.

Quanto ti manca la Cina?

La Cina mi manca moltissimo. Sarei dovuto tornare a febbraio per fare un ciclo di lezioni, e dico con molta semplicità, l’ho detto anche sui giornali sardi che mi hanno intervistato, se non avessero bloccati i voli io sarei tornato. D’altro canto sono stato a Pechino durante la SARS, forse sono un po’ incosciente, ma mi avrebbe fatto piacere dare una testimonianza di solidarietà, non solo a parole, cioè essere fisicamente con gli studenti e i miei colleghi professori cinesi, in un momento di così grande difficoltà

Le universita’ sono aperte in questo momento in Cina?

No, no, son chiuse. E’ tutto chiuso.

Bene, considerato  che siamo a tavola la domanda nasce spontanea: ti piace la cucina Cinese?

L’adoro, ho assaggiato anche cose strane, ma sono per la cucina classica  tutti intorno ad un tavolo per condividere non solo il cibo ma anche le idee, le opinioni, parlare, confrontarsi.

Un po’ come in questa serata,  con la differenza che la cucina è sarda.

Le origini  non si scordano mai, sapori unici che ti riportano indietro nel tempo.

Grazie Oliviero, è arrivato il mirto!

Preferisco su fillu e ferru!

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