Provengo dall’olio d’oliva che forse dopo tanti anni avevo come rimosso e dimenticato. Ho vissuto la mia infanzia e prima giovinezza a contatto diretto con questa preziosa materia, determinante nella storia e nella vita dell’uomo. Mio padre produceva, attraverso contratti di mezzadria, olio d’oliva e ha sempre, durante la sua non lunga vita, acquistato e venduto olio d’oliva.
Ed ecco quindi il non agevole compito: risvegliare in me ricordi che pensavo dimenticati. Ricordi ed emozioni intense, immagini che ritornano di un paese immerso nella produzione e cultura dell’olio d’oliva, un paese il mio, Ittiri, che si adagia su una “collina d’antichi oli- veti coronata” e che da lassù guarda ammirato Alghero ed il suo splendido mare poco lontani.
Memorie di una casa ove entravano ed uscivano ettolitri ed ettolitri d’olio, e otri dappertutto, di un padre che così cantava alcuni versi, fra i tanti, che lui riusciva magicamente ad improvvisare, come cultura e tradizione diffusa in Sardegna:
«trese suni sos regalos de Deus a dolu misciados e allegria s’aba, su ‘inu, s’olzu ‘e s’olia pro chi sa vida colet in recreu» gai mi naraiat Babbu meu cando su sole cataiat in poesia.
«Tre sono i preziosi regali del Signore all’uomo, mescolati a dolore ed allegria: l’acqua, il vino e l’olio d’oliva, perché la vita scivoli serena»”. Così ini diceva mio Padre quando cantava il sole (l’olio) in poesia.
Lui aveva l’olio per amico, fratello e figlio, per fonte di vita e sostegno alla famiglia. Lo beveva e lo gustava, per capirne le differenze di qualità. E così nelle sue esternazioni poetiche (la poesia in Sardegna è canto) combinava lavoro e versi, emozioni e impegno.
Oggi ci soffermiamo su uno dei beni preziosi dell’umanità. Su un alimento che al di là di essere tale ha assunto nel corso dei millenni significati mitologici, storici, morali, spirituali, letterali e poetici di assoluto prestigio e di larghissima diffusione.
Non più e non solo cibo o materia indispensabile per tutta una serie di prodotti enogastrono- mici, non più sorgente di lavoro e di economie, ma alimento anche dell’anima, fonte di ispirazione, di versi e di storie vere e di leggende. Quindi suggeritore di cultura, di tradizione e di costumi.
Ispiratore di atti religiosi e simbolici.
È bello a questo punto leggere nei versi del Paradiso del sommo poeta quale fosse la forza alimentare, opportuna a sopportare caldo e gelo, che i cibi magri conditi di olio d’oliva davano al frate Pietro Damiano di Ravenna, che nel canto XXI (113-117) ci parla della predestinazione ed inveisce contro i cardinali degenerati, al cospetto di altre anime che approvano i suoi sermoni:
e poi continuando disse:
«Quivi a servigio di Dio mi fei si fermo, che pur con cibi di liquor d’ulivi lievemente passava e caldi e geli, contento ne’pensier contemplativo>
O ancora questi altri bellissimi versi di Dante quando nel canto XXX (28-33) del Purgatorio incontra finalmente la donna amata :
«così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fiori, sovra candido, vel cinta d’uliva, donna m’apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva».
Si tratta naturalmente di Beatrice, “con una corona d’ulivo sul capo”, adorna dei colori delle virtù teologali. Quindi l’ulivo ancora richiamato protagonista su temi di elevato spessore religioso quali fede, speranza e carità.
E come non ricordare la presenza importante dell’albero dell’ulivo e del suo prezioso liquore nell’ambito della leggenda e del mito.
L’uomo sin dalle sue origini ha costantemente avuto un rapporto di amicizia, di alletto e d’amore con l’ulivo pianta vista e rispettata come un dono di Dio, una cosa sacra. Una relazione talmente antica e radicata che viene come dire suggellata e resa evidente da quella nota leggenda che narra del primo uomo sulla terra che aprendo gli occhi all’incanto del Creato trova ristoro al suo sbigottimento, al riparo dell’ombra di un vecchio albero a lui vicino, un ulivo millenario che paterno gli offriva braccia possenti e sicure.
Un runico per sempre, per un patto che ancora dura.
La Bibbia cita per centinaia di volte l’olio e l’ulivo. Nella Genesi, la colomba liberata da Noè, ritorna nell’Arca con un ramo d’ulivo, segno della fine del Diluvio e simbolo del ristabilimento della pace fra Dio e gli uomini: «Avendo poi aspettato altri sette giorni, di nuovo mandò fuori dall’Arca la colomba, la quale tornò a lui verso sera, portando nel becco un ramo d’ulivo con verdi foglie».
Un’altra leggenda narra di Adamo, ormai macchiato da peccato originale, che manda il figlio Selli a chiedere all’Angelo il castigo della morte e l’olio di misericordia. Il cherubino consegna a Seth tre semi che egli dovrà mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle spoglie di Adamo, sepolto sulle pendici del monte Tabor, germogliano un cedro, un cipresso e un ulivo, quest’ultimo come simbolo di purezza e redenzione.
«I popoli del Mediterraneo – afferma lo storico greco Tucidide, nel V° secolo AC. – cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’ulivo e la vite»E nel mito della stessa fondazione di Atene ricorre il ruolo simbolico dell’ulivo attraverso questa ulteriore famosa leggenda.
Per decisione di Zeus il possesso della città di Atene e della regione dell’Attica, doveva essere aggiudicato al Dio che forniva il dono più utile. Alla fine della gara rimangono Poseidone, che fa sbucare dalla foresta un meraviglioso destriero ed Atena che fa nascere dalle viscere della terra un nuovo albero: l’ulivo. Zeus giudica vincitrice la dea sua figlia, sostenendo che il cavallo è per la guerra, mentre l’ulivo è per la pace.
Dal mito che continua con mille racconti che si intrecciano con la storia dell’uomo, si passa alle cose concrete. Nella stele di Hammurabi, re di Babilonia, fra i documenti di scrittura più antichi, nel museo di Bagdad, si codificano infatti le norme per il commercio dell’olio d’oliva.
Un’altra grande emozione che riesce a darci questa “sacra” pianta è quando l’ammiriamo. La forma di un vecchio albero d’ulivo, contorto e scavato dal tempo, ci dà una suggestione ed un coinvolgimento incredibili. Come vedere una creatura misteriosa e magica, un monumento vivente che impone rispetto. Una creatura che palpita, al contrario dei monumenti di pietra che testimoniano civiltà scomparse, l’ulivo emana vita e profumo ed attesa di un frutto prezioso.
In Sardegna, vicino a Tempio, ho potuto ammirare, con forte partecipazione emotiva i famosi ulivi millenari dai tronchi giganteschi. E le stesse sensazioni si provano dappertutto, in Spagna o in Grecia o a Roma o in Sicilia quando vediamo alberi d’ulivo, vicino a quel che resta di antiche civiltà.
Origine legame con l’uomo
Origini remote, immerse nel mito e nella leggenda non ci impediscono di trovare alcuni riferimenti storici oggettivi. E gli storici ci dicono che già 5000 anni fa si coltivava l’ulivo sulle terre d’oriente fra il Pamir e il Turkmenistan, per poi diffondersi verso occidente in Persia, Mesopotamia, e Siria. Ittiti e Assiri utilizzavano largamente per consumo e per commercio olive ed olio: beni al tempo, diffusissimi in tutto il Medio Oriente.
Furono i grandi colonizzatori o civilizzatori del bacino del Mediterraneo, i Fenici, ! maestri del mare e del commercio che, spostandosi dalle sponde orientali, iniziarono oltre mille anni AC ad aprire fiorenti scambi commerciali fra le sponde del mare Nostrum. E la pianta dell’ulivo fu proprio introdotta nel Mediterraneo dai Fenici. E da allora il radicamento nella coltura e nella cultura mediterranea di questa favolosa pianta fu così diffuso e profondo che è quasi naturale affermare che l’area mediterranea rappresenta il “luogo di nascita” della pianta d’ulivo.
Per i Greci e per i Romani l’ulivo e l’olio furono degni di grandissima considerazione e rispetto religioso. Il “sacro ulivo” fu il solo a sopravvivere all’incendio persiano di Atene . I romani usarono il nettare dell’oliva non solo per l’alimentazione ma anche per la cosmesi, la medicina, e per l’illuminazione. Grande produzione e grande consumo all’epoca. Così pure nel medioevo quando bollente veniva scaricato sui nemici intenti a risalire le mura difensive di paesi e città.
La coltivazione e la cura per questo pianta proseguì nei secoli diffondendosi ulteriormente e consolidandosi al punto che oggi è difficile pensare ad una zona mediterranea ove non sia presente l’ulivo, che la botanica definisce Olea Europea e che ben si adatta a diversi tipi di terreno, purché si tratti di zone temperate ed asciutte, resistente in misura elevata alla siccità. Non entro nel merito delle tante varietà dell’ulivo e dei suo frutti: il leccino, la carbon- cella, il pendolino, la rosciola, la coratina, la olgiarola barese e messinese etc.. Le olive ascolane, la santagostino, la nocellata, l’oliva di Cerignola, etc…
E tanto ci sarebbe da dire sul pregiato legno che ci da l’albero, e sulla raccolta delle olive, sul frantoio e sui vari tipi di olio, extravergine, vergine, di sansa etc….
Ritorniamo ai versi di mio Padre, ai tre regali del Signore: l’acqua il vino e l’olio d’oliva che si integrano e si intrecciano nella vita della nostra umanità in maniera indissolubile, mischiandosi al dolore ed alla gioia.
L’acqua trasparente e dolce ci dà vita, è vita, diventa madre e fede, mari e fiumi, sorgenti e torrenti; acqua che a volte si oscura e s’infuria di una forza tremenda e devastatrice. Il vino rosso rubino o giallo paglierino ci regala energia e allegria se usato con moderazione, altrimenti sono dolori.
L’olio è prevalentemente benessere e felicità e ci ricorda il dolore solo quando ci accompagna, come liquido santo (‘solzu santo) verso l’eterno riposo inondandoci di dolore e sofferenza per la perdita dei nostri cari.