Carnevale sardo: i rituali della festa sono legati al cibo e al bere_di Alessandra Scifoni

Festa della trasgressione e dell’eccesso, il Carnevale, come lo conosciamo oggi, nasce in contrapposizione al periodo della Quaresima cristiana, in cui il fedele dovrebbe dedicarsi maggiormente alla preghiera, alla carità, e astenersi dal mangiare carne il Venerdì.

In tutti i luoghi in cui i rituali carnevaleschi sono ancora “presi sul serio”, troveremo allora, in particolare nei giorni di Giovedì e Martedì Grasso, e nei weekend, gente di tutte le età travestita nei modi più bizzarri, sfilate accompagnate da ritmi incalzanti e ripetitivi, una pioggia colorata fatta di coriandoli e stelle filanti.

Forse ai giorni nostri è considerata più che altro la festa dei bambini, ma in realtà il Carnevale affonda le sue radici nei riti arcaici per la fertilità, l’allontanamento della cattiva sorte e della morte.

E nelle località in cui maggiormente si tengono alti i valori della tradizione, si potrà assistere a festeggiamenti dal sapore antico e misterioso.

Non solo colori sgargianti, carri allegorici e dissacratori, danze e scherzi, quindi. Basterà addentrarci in alcuni dei più suggestivi scenari dell Sardegna, per accorgerci del legame ancora fortissimo con usanze natenel lontano Medioevo, come ad esempio la Sartiglia di Oristano, o nel più antico mondo agro-pastorale, un legame indissolubile con una natura che tutto può creare e distruggere.

Incontreremo allora sos Mamuthones e sos Issohadores, Boes e Merdules, sos Thurpos e s’Erittaju, s’Urtzu e sos Buttudos, tra le maschere più caratteristiche del Karrasegare.

I primi, con i loro abiti in pelle di montone, capra o pecora, di colore nero o bianco; i campanacci, che in processione creano quel frastuono cadenzato, quasi ipnotico; i visi neri, dipinti, o i volti in legno dalle inquietanti fattezze antropomorfe o zoomorfe, vanno assieme ai loro “padroni”, vestiti completamente di nero o, per contrasto, di rosso e bianco, che cercano di “domarli” con catene o funi. Essi rappresentano l’incontro/scontro tra uomo e animale, tra dominatore e colui che si sottomette, e ripetono rituali le cui origini si perdono in un passato lontanissimo. Tra gennaio e febbraio, la natura e le pratiche agricole prevedevano la macellazione dei suini, con la conseguente abbondanza di grasso di maiale o strutto.

Da qui l’usanza di offrire, durante i festeggiamenti, un piatto originario del nuorese e noto in tutta la l’isola: le fave con il lardo. Piatto semplice ma gustoso, composto da fave, costole di maiale, lardo e cavolo verza, da mangiare caldo e, preferibilmente, accompagnato dal buon Pane Carasau sardo.

Per la stessa ragione “naturale”, ovvero per una maggiore disponibilità di strutto, i dolci tipici della festa sono per lo più fritti.

La base per l’impasto è sempre piuttosto semplice, si utilizzano farina, uova, zucchero, latte o acqua, in certi casi si aggiunge burro e lievito, mentre le differenze riguardano soprattutto le forine e gli aromi. Le “chiacchiere”, che assumono nomi diversi a seconda della regione o località m cui vengono prodotte, hanno un’antichissima tradizione che probabilmente risale a quella delle “frictilia“, dolci fritti nel grasso di maiale che nell’antica Roma venivano preparati proprio durante il periodo di Carnevale, in gran quantità, poiché dovevano durare per tutto il periodo della Quaresima.

Particolarità di questo dolce è l’aggiunta di liquore, spesso grappa, la forma rettangolare o, meglio, a striscioline e i bordi frastagliati. E ricoperto infine, come tutti gli altri, di abbondante zucchero a velo o semolato.

Altrettanto semplici nella lavorazione, sono dolci come i “Parafrittos” (Frati Fritti), ciambelline lievitate anch’esse insaporite spesso con un po’ di grappa, o come i Tortelli e i Brunniolus, gustose palline a volte farcite con panna o crema.

Ci sono poi i dolci fatti con l’aggiunta di miele, gli “Acciuleddi”, o “Gugligliones” (Matassine) dai caratteristici fili di pasta intrecciati, e le “Meraviglias”, che hanno le forme più fantasiose, di mano, di stelle o di rombi.

I “Crucuxionis de mendua”, o “Culurgiones de mendula”, sono i tradizionali ravioli alle mandorle, per la preparazione dei quali, anche in questo caso, viene lasciato ampio spazio alla fantasia. arricchito dallo zafferano, rimane sempre inconfondibile.

Spesso i rituali della festa sono legati al cibo e al bere. A Escalaplano, ad esempio, si perpetua nel giorno di Sant’Antonio l’antica usanza della “Paniscedda”: durante la notte i bambini vanno di casa in casa a chiedere il pane, confidando nella generosità della gente, arcaico predecessore del più moderno “dolcetto o scherzetto”.

Ad Ottana, invece, i Boes richiedono animatamente alla gente non solo dolci, ma anche da bere, e così pure la vecchia “Filonzana” (la filatrice): maschera facciale simile a quella del Merdule, scialle e vestito femminile nero su gambali e scarponi di cuoio, tiene tra le mani una rocca da cui pendono dei fili di lana, simbolo della fragile vita umana. Il funereo personaggio minaccia di reciderli in segno di malaugurio nei confronti di chi non gli offra da bere.

È un ritorno alla collettività, alla condivisione, il Carnevale, ci permette di ridere dei nostri guai tutti insieme. Perciò alziamo i nostri bicchieri colmi di Cannonau e brindiamo alla salute e alla fortuna e…buon divertimento!

Fotografie di Maurizio Artizzu

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