Ho bevuto un buon vino, pensando a mio padre e a Marcello Serra_di Stefania Porrino*

La mia identità sarda, pur essendo io nata a Roma, proviene da una buona metà dei miei avi ma soprattutto dal legame affettivo con mio padre, il musicista cagliaritano Ennio Porrino, e sua madre – mia nonna – Dolores Onnis. 

Anche mia madre, nata a Roma, ha sangue e cognome sardo: Onnis anche lei, come sua suocera: non una strana coincidenza ma la conseguenza del fatto che mia madre era figlia del cugino di mio padre e quindi il loro è stato un matrimonio “in famiglia”!

Avendo perso mio padre nel ’59, quando avevo poco più di due anni, la Sardegna è diventata per me nel tempo un luogo altamente simbolico, una specie di risarcimento affettivo, ed ogni ritorno nell’Isola è stato per me una ricerca delle origini.

Anche questa volta, nel percorrere insieme ad altri “sardi di fuori” i fascinosi cammini di identità che il Gremio di Roma ci ha proposto, ho riprovato la profonda emozione di ritrovare la “mia” terra.

Ed oltre ai vecchi e nuovi amici conosciuti in questa occasione, ho sentito vicino a me in spirito un compagno di viaggio molto speciale, un poeta che, molti decenni fa, fece da guida a mio padre nella scoperta dell’Isola e in tempi più recenti altrettanto fece con me quando, per costruire l’itinerario di un film sulla Sardegna e sulla musica di mio padre, mi rivolsi a lui per consigli e idee: il poeta e scrittore Marcello Serra.

Già nei primi due giorni di viaggio, camminando tra le strade di Cagliari, dove lui viveva in una semplice ma accogliente villetta in via Scano, il suo ricordo era affiorato più volte in me con nostalgia, riportandomi alla mente le tante occasioni avute di stare insieme e di ascoltare il suo inconfondibile modo di raccontare la storia e le bellezze della sua terra.

Ma impossibile non pensare a lui visitando la zona archeologica di Nora, dove nel 1952 andò in scena lo spettacolo Efisio d’Elia, espressamente voluto da Serra (autore del testo) e da mio padre (che ne scrisse le musiche) per sollecitare l’attenzione dei sardi e delle autorità preposte verso questo sito che allora era ancora tutto da scoprire e da scavare. 

Serra era convinto che sotto quella collina sul mare ci fossero importanti vestigia delle prime civiltà della Sardegna e si lamentava della poca solerzia con cui i sardi sembravano occuparsi delle proprie radici e della propria cultura.

Se ora fosse con noi – ho pensato mentre ascoltavo un archeologo e una sua giovane assistente illustrarci il valore di una nuova zona di scavi da poco aperta a Nora – sarebbe stato orgoglioso di vedere con quanto entusiasmo le nuove generazioni manifestino interesse e consapevolezza per la loro storia e per le tante testimonianze archeologiche che ancora attendono di essere scoperte, valorizzate e interpretate.

Percorrendo i sentieri che dall’anfiteatro conducono al tempio di Esculapio ecco tornare più volte un altro ricordo legato allo scrittore di Lanusei: proprio qui, infatti, ho girato, nel 1990, la prima e l’ultima scena del mio film “Tu madre, tu Sardegna” ispirandomi a lui per un personaggio-guida che ha la funzione di introdurre il personaggio del musicista – mio padre – ad una conoscenza più profonda della sua terra: un omaggio al poeta e una testimonianza che ho voluto lasciare nel mio film  della tenacia con cui Serra aveva inseguito il suo sogno di vedere risorgere dalla terra l’antica storia di Nora. 

Sogno oggi realizzato nel sito archeologico che fa fede dell’esattezza delle intuizioni del sognatore.

Dopo la visita a Nora, una sosta nelle saline dei Conti Vecchi, nella laguna di Santa Gilla, e la vista di una numerosissima colonia di fenicotteri hanno fatto riemergere un’altra immagine dal passato: Marcello che indicava a me bambina questi strani uccelli rosa dalle lunghe zampe che si alzavano in volo dallo stagno. E il mio ammirato stupore di allora – che per la prima volta assistevo a questo spettacolo – si è rinnovato durante il viaggio, qualche sera dopo, quando dalle grandi finestre del ristorante dell’albergo abbiamo visto passare uno stormo di fenicotteri proprio vicino alla vetrata davanti al nostro tavolo e poi di nuovo la sera successiva, di notte, dalla terrazza al settimo piano della casa al centro di Cagliari di Salvatore Cubeddu, quando un altro stormo rosa illuminato dalle luci della città è sfrecciato in alto nel cielo.

Ma al di là di questi ricordi strettamente personali, ho avuto il piacere di risentire la presenza ideale di Marcello Serra nei discorsi e nell’evidente piacere di riscoperta delle proprie origini culturali che ho riscontrato in tante delle persone – le più diverse e quindi nei modi più diversi – che abbiamo avuto l’occasione di conoscere durante il viaggio: guide turistiche o escursionistiche, archeologi e studiosi, giovani sacerdoti, ex-minatori delle miniere di Santa Barbara. 

In tutti ho percepito quell’amore e quell’orgoglio per la propria terra e per la possibilità di costruire per essa un futuro migliore che Marcello Serra auspicava e in qualche modo pretendeva dai sardi perché imparassero a valorizzare sempre più le bellezze e le ricchezze dell’Isola nel modo giusto: non con la violenza e cecità di un turismo di massa, né con le esclusive ed anonime “riserve” per ricchi ma con un uso intelligente ed ecocompatibile delle risorse naturali e archeologiche – davvero uniche al mondo – dell’Isola.

E passando dalla cultura storica o archeologica alla cultura enologica, a riprova della capacità della Sardegna di conquistarsi un posto di rilievo non solo ideale ma concreto, mi piace ricordare un momento “di-vino” del nostro viaggio: la visita alle cantine dell’Argiolas, un’altra occasione di ascoltare una storia di tenacia e di successo imprenditoriale.

La guida che ci ha condotto tra interminabili corridoi di botti impregnati di odore di uve in fermentazione, ci ha illustrato con orgoglio la storia di un vino che al suo esordio sul mercato veniva considerato “troppo forte” per imporsi a livello internazionale e che ora è invece ben noto ovunque come uno dei vini pregiati della Sardegna.

Al termine della visita, dopo aver gustato un bicchiere di ottimo prosecco, qualcuno ha domandato alla giovane guida se fosse contenta del suo lavoro. La sua immediata risposta affermativa ha confermato in me l’impressione avuta più volte nelle varie tappe del nostro viaggio ascoltando le parole e notando l’entusiasmo di chi ci ha illustrato problemi, progetti e finalità di ciascuna realtà del territorio.

E tirando le somme di questo cammino dell’identità nell’odierna realtà sarda sono convinta che se Marcello Serra avesse potuto compiere davvero insieme a noi questo viaggio avrebbe potuto constatare che una buona parte dei suoi sogni si è finalmente realizzata.

* Docente di regia teatrale e scenica, regista, drammaturgo, figlia del Maestro Ennio Porrino autore del dramma lirico “I Shardana- gli Uomini dei Nuraghi”.

©Sardegnatavola

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