La notte scorsa nel porto industriale di Oristano, un presidio di cittadini, provenienti da diversi gruppi di protesta, impegnati a bloccare i tir carichi dei pezzi di pale eoliche destinati all’assemblaggio sul territorio dell’isola, hanno dovuto desistere dall’impresa. Hanno adottato una difesa passiva che contempla il rispetto delle leggi e delle forze dell’ordine chiamate a garantire la libertà di circolazione e nel caso specifico dell’impresa che, si presume con tutte le carte in regola, ha diritto di portare a compimento l’investimento. Sembrerebbe per molti una sconfitta ma non lo è affatto, anzi c’è da fare un plauso agli organizzatori e a tutti coloro che vi hanno preso parte, perché l’iniziativa si somma a tutte le precedenti che continueranno, ci si auspica, con la forza della ragione per marcare ancora una volta che la comunità isolana è schierata a difesa del territorio e del suo ambiente.
Manifestazioni che rappresentano anche un duro monito per gli eletti, che siedono in Parlamento e nel Consiglio regionale. In una democrazia rappresentativa sono loro che, raccogliendo il grido di dolore delle comunità, devono adottare tutti gli atti e le interlocuzioni istituzionali perché il popolo sia ascoltato e rispettato. La Sardegna ha una lunga storia di democrazia e giustizia, e l’atteggiamento assunto dal presidio oristanese ne è un fulgido esempio, ma quando il rispetto e l’ascolto vengono meno si va inesorabilmente allo scontro, che in Sardegna, la storia ci insegna, è sempre stato indotto. Le comunità sarde pur custodendo profondi valori identitari non sono contrari al progresso e i gruppi di protesta da sempre hanno sottolineato che i sardi sono disponibili al rinnovamento energetico, ma questo non può cancellare la loro storia e la loro cultura, ma integrarsi per accrescerne i pregi e le potenzialità.
La regione Sardegna deve capire che siamo in uno di quei momenti storici cruciali e così, come lo Stato, che ha ben chiaro che l’autonomia energetica da fonti rinnovabili lo renderà più forte ed indipendente nel contesto mondiale, così anche la Sardegna dovrebbe cogliere il momento e porre in essere tutti gli strumenti necessari perché l’energia pulita sia al servizio delle comunità, innanzi tutto favorendo la nascita delle comunità energetiche ed oggi, che statuariamente ha potestà di legiferare in ambito urbanistico, vieti tassativamente ogni tipologia di impianto rinnovabile in agro e riconduca gli stessi e quelli già autorizzati, di cui sarà difficile bloccarne l’iter, in ambito industriale.
Oggi con pale che superano i duecento metri di altezza viene meno anche il rischio che i capannoni ne alterino il funzionamento. In Sardegna sono presenti 243 are industriali con ingenti superfici, oggi peraltro molte in abbandono dopo il crollo industriale, quelle attive dispongono di piazzali e spazi dove installare gli impianti dando la possibilità ai titolari di impresa di beneficiare dell’auto consumo quale remunerazione dell’uso dei suoli o delle coperture, così pure lo stesso concetto può essere adottato per le 72 mila aziende agricole. Non dimentichiamo inoltre le coperture dei 377 comuni. L’energia è un bene comune e come tale deve essere gestito, peraltro, come detto, fattore primario allo sviluppo, che in Sardegna possiamo dire è ancora in embrione. Le sue incontaminate terre, i suoi pascoli e la sua natura, se ben tutelati e programmati, saranno il vero futuro, in un mondo che ha già lo sguardo rivolto alle grandi produzioni agro alimentari di laboratorio.