Il pranzo_di Grazia Deledda

Riconobbe il signore veduto nel treno, don Salvator Angelo pallido e grasso. Che veniva a fare? Puerilmente ella pensò “Ha saputo che son vedova e viene a cercarmi…. come una volta!”. E ricordandosi che era quasi vecchia, adesso, smunta e lacera, le venne da ridere. Vede come sono! – mormorò, incrociando le braccia sul seno, come per nascondere il suo corsettino lacero ma egli si mise un dito sulle labbra, ed ella a sua volta accorgendosi che Antonietta si avvicinava, non accennò oltre a riconoscere il signore misterioso. Ed egli andò difilato al focolare, sedette, depose accanto a sé la scatola gialla. Ebbene, che nuove? Contami. -Ella cominciò a raccontare, e a momenti piangeva, a momenti rideva, con quel suo riso spensierato e lieto che fioriva ancora sul suo volto come fioriscono le rose sulle rovine: ma più che al racconto, l’uomo badava ai bimbi curiosi e ansiosi che si erano di nuovo aggruppati attorno a lei, e osservando quelle testine belle e selvagge; quei riccioli neri e polverosi, quei capelli rossicci e quelle treccioline gialle a cui il riflesso del sole .della fiamma dava toni dorati, quegli occhi neri e quegli verdastri che lo guardavano affascinati, dandogli a loro volta un fascino di gioia e di tristezza assieme, pensava:

“Se la sposavo, tutti questi monelli sarebbero stati miei;” e gli sembrava di vedere una bella sala da pranzo degnamente borghese, con l’albero di Natale sul tavolo, e tutti quei bimbi vestiti di merletto e di velluto, e quella bella biondina con gli occhioni di gatto ritta tentennante su una sedia, a recitare una poesia d’occasione.

No; era meglio così: era più pittoresco, più romantico e anche più comodo. E a un tratto il signore nero si tolse il guanto e tese un dito verso un visetto scuro pieno di fossette entro le quali pareva scintillasse una gran gioia maliziosa. -Tu birbante, come ti chiami? –Murru Giovanni Maria, o anche Belila -.Vai a scuola ? –Sissignora –

A Bonifai ? –Sissignora — Anche quando piove o nevica ? –A me non me ne importa! – disse Bel-lia con accento spavaldo. Spinto dalla mano della donna si era piantato davanti allo straniero, mentre i fratelli e i cugini lo guardavano e si guardavano fra loro frenando a stento il riso: riso d’invidia, si sa. Ma ecco che l’uomo nero si volse a tutta la compagnia. -Avete cenato? –

Per tutta risposta alcuni si misero a sbadigliare.

-Per caso, mangereste volentieri qualche cosa, intanto che si aspetta questo vero Battista? Murru Giovanni Maria, aiutami ad aprire questa scatola. Piano, piano! È quanto si trova alla stazione di Bonifai , che non è la stazione di Londra. Oh, è meglio metterci qui sul tavolo.

-Ma che fa ? Ma che disturbo s’è preso! Ma si sporca!

-Gridava la donna, correndo qua e là confusa.

-Calma! Ecco fatto ….–Come mosche attorno al vaso del miele, le teste dei bimbi incoronavano l’orlo del tavolo: e su di questo, come avviene- nelle favole al tocco della bacchetta magica, apparivano tante buone cose.

Anche pere, sì, anche uva, sì – in quel tempo! – anche una bottiglia gialla col collo d’oro!

A me piace il vino nero – proclamò Bel-lia, e la donna lo sgridò: – sfacciato, sfacciato! – ma l’uomo nero disse: tu hai ragione !-

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