L’epilogo del  progetto “Parco Geominerario”_di Tarcisio Agus

Questi giorni la stampa riporta, per l’ennesima volta, la storia infinita delle maestranze nate per predisporre le infrastrutture dell’allora nascente Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna.

Con il verbale di accordo del 11 giugno 1997, tra Ministero dell’Industria, Ministero Ambiente e Regione Sardegna, Provincia di Cagliari ed i sindacati Cgil-Cisl e Uil, all’art.6. venne prevista la promozione di un progetto L.S.U finalizzato ad interventi connessi alla prevista realizzazione di un parco geominerario, a cura del Ministero dell’Ambiente in stretto raccordo con i Ministeri del Lavoro e dell’Industria,

Così 550 lavoratori dal 1 ottobre 1998 vennero dislocati nelle otto aree del nascente Parco, sulla base del progetto dell’EMSA (Ente Minerario Sardo), affidato poi ad Igea S.p.a, divenuta titolare delle proprietà ex minerarie, per creare concrete condizioni di sviluppo e garantire la stabilità occupazionale dei lavoratori, individuando attività autonome di microimprese  economicamente fattibili nell’ambito dell’attività del costituendo Parco Geominerario.

Si procede con il suddetto obiettivo sino alla nascita del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna il 16 ottobre 2001, quando la Regione decise di mutare strategia “stabilizzando” tutti i lavoratori attraverso un consorzio privato Ati-Ifras, poi “Geoparco”, al quale venne affidato il progetto di riconversione e la bonifica delle aree ex minerarie. Accordo sottoscritto il 21 dicembre 2001. Ciò determinò non pochi conflitti con Igea S.p.a, proprietaria dei beni, che vedeva sfumare la sua missione in quanto nata per il recupero ambientale delle aree minerarie. Un successivo accordo Ati-Ifras e Igea S.p.a, favorì gli interventi sulle strutture immobiliari, con interessanti lavori di recupero finalizzati alla fruizione turistico-culturale. In particolare le due società convivevano in diverse aree dividendosi i compiti: Igea S.p.a interveniva nel recupero del sottosuolo, dando vita ai percorsi di Porto Flavia, galleria Villa Marina, grotta di Santa Barbara, galleria Anglo Sarda, galleria Henry, Funtana Raminosa e Sos Enattos, mentre l’Ati-Ifras si occupò del recupero delle strutture dismesse, come il borgo di Su Suergiu, la laveria dell’Argentiera, il museo di San Vito, la ex direzione a Orani, il villaggio Arenas, Corti Rosas, Su Zurfuru, Ospedale e direzione di Ingurtosu e laveria Sanna, per citarne alcune. In alcuni contesti è stata realizzata una appropriata  sentieristica ed alcune aree archeologiche, che si reputavano legate ai siti minerari, predisposte per la fruizione. Frazioni  di questi siti sono stati acquisiti dai comuni e sono oggi fruibili, attraverso un piccolo nucleo di guide con un minimo di occupazione stagionale. Il resto degli interventi, che avrebbero dovuto creare le condizioni di sviluppo ed assorbire con le nuove attività gli LSU, non hanno avuto seguito, sia perché rimasti incompiuti o perché mancanti di servizi come il villaggio Arenas, interamente recuperato, ma senza i servizi idrico, elettrico e fognario. In quegli anni l’Ati-Ifras mutò la sua intestazione in “Geoparco”, forse nell’ottica di una possibile gestione dei siti già recuperati per una prima stabilizzazione dei lavoratori, ma non vi furono sviluppi. 

Sin da allora era chiaro che il soggetto affidatario del progetto “Parco Geominerario” non avrebbe mai potuto stabilizzare i lavoratori, tanto che si va avanti per oltre dieci anni, ma nessuna opera con finalità produttiva veniva completata, per essere poi posta nel mercato e consentire la stabilizzazione. Nonostante tutto, nel 2010 vi fu il rinnovo della convenzione perché molti lavoratori vennero destinati a espletare  lavori presso gli Enti Locali, e la stessa Regione Sardegna con quelle maestranze aveva dato corso, in numerosi comuni minerari, alla realizzazione degli Eco-centri per la raccolta differenziata ed al riordino di alcuni archivi, modificando di fatto lo spirito originario. L’unico elemento che si mantenne integro, siamo già al 2016, fu il numero dei lavoratori, perché coloro che andarono in pensione furono sostituiti con personale proveniente da crisi aziendali come la Rockwool,  l’Italcementi ed altre  imprese minori. Per ragioni diverse la Regione Sardegna decise poi di porre fine all’affidamento del progetto  ed i lavoratori vennero posti  in cassa integrazione per due anni.

Sul finire del 2018 attraverso un bando biennale rivolto ai Comuni, ed agli enti pubblici ricadenti nell’ambito del Parco, le maestranze vengono frazionate sui diversi Enti e comuni partecipanti, compreso il Parco Geominerario, che si fece carico di 100 lavoratori ricadenti il centro e nord Sardegna, con poco entusiasmo, visto e considerato che la filosofia iniziale venne totalmente stravolta, con l’assoluto divieto di intervenire sul patrimonio ex minerario. Sfumarono così il recupero delle direzioni minerarie sulle quali il Parco aveva programmato il suo intervento per l’istituzione delle foresterie, concorrendo con il suo avanzo di amministrazione.

Furono due anni di sfalci e pulizie, con il tentativo di stabilizzare i lavoratori negli enti partecipanti, da subito rilevatosi impossibile, per cui con un nuovo bando si ricondussero i 367 lavoratori rimasti, sotto un unico ente, la CoopTec. Siamo giunti al 2024 in attesa di un ulteriore bando, che non stabilizzerà nessuno, perché se non muteranno le condizioni, i restanti 247 lavoratori potranno sperare solo in nuovi incentivi per l’uscita anticipata dal lavoro o proseguire in questa forma assistenziale, sino al pensionamento.

Nel frattempo il patrimonio minerario continuerà a decadere, compresa quella parte oggi fruibile e gestita dagli Enti Locali, che pian piano necessiteranno di manutenzioni, anche particolari, come il mantenimento delle gallerie, ed i Comuni non dispongono di risorse, ne umane e tanto meno finanziarie. Chiederanno, come sempre, i contributi alla Regione, che spanderà a pioggia senza alcuna programmazione, pena il licenziamento degli attuali addetti alle visite.

Considerato che il patrimonio è interamente pubblico, non sarebbe il caso che tutte le risorse disponibili fossero gestite da un unico Ente, con la partecipazione dei soggetti maggiormente  coinvolti (Regione, Province, Igea, Parco e comuni) e di un comitato tecnico scientifico,  in grado di programmare il recupero dell’intero paesaggio minerario con i coinvolgimento dei privati, destinatari della rinascita produttiva in tutti quegli spazi non museali.

Laveria Perd’è Pibera – Gonnosfanadiga

Le risorse non mancano, ci vuole un Soggetto capace di sviluppare progetti condivisi e portarli a finanziamento, magari riprendendo anche l’intesa del 2001 con il Ministero dell’Ambiente, in raccordo con i Ministeri del Lavoro e dell’Industria. Una parte rilevante del Parco Geominerio (Sulcis – Iglesiente – Guspinese – Arburese) è dentro il  programma di recupero delle aree minerarie ai sensi del DM Ambiente del 18 settembre 2001 n.468 (Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati), finanziabili sino a completo risanamento. Un primo finanziamento di 63 miliardi di vecchie lire non siamo ancora riusciti a spenderlo, e le aree inquinate di Montevecchio, Ingurtosu ed Iglesias ancora attendono, per l’incauta scelta di affidare ai comuni impreparati, i complessi progetti di risanamento ambientale.

Gli interventi necessari alla bonifica  non sono solo il recupero dei suoli inquinati, di cui c’è estrema urgenza, ma è anche il patrimonio edilizio, che ha concorso con il suo sviluppo a supportare l’articolata attività industriale, diventando parte integrante  del paesaggio minerario. 

Questo diffuso patrimonio, in parte di pregio, con una intelligente regia, potrebbe risorgere a nuova vita, in primo luogo perché occupa spazi di notevole valenza paesaggistica ed ambientale, inoltre nelle sue mura aleggia la storia industriale dell’isola, non meno importante quella degli uomini, donne e bambini che la hanno resa grande.

Aprirsi al mondo, presentare il nostro patrimonio, interagire con enti e soggetti che già hanno percorso la via delle riconversioni produttive, potrebbero essere l’inizio di una possibile rinascita.

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