Chi di noi non ha riso di gusto davanti al famoso film di Monicelli “Amici miei” che nel 1975 ottenne un clamoroso successo di pubblico e critica? La goliardia di Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Gastone Moschin, gli scherzi che quattro amici cinquantenni preparavano e attuavano con maniacale maestria, rappresentarono magistralmente la sfrenata voglia di vivere e divertirsi degli italiani (non solo di mezza età) di quel periodo post-boom economico, la voglia comunque di sentirsi sempre giovani, spensierati, di lasciare da parte almeno per qualche ora le preoccupazioni quotidiane o le ansie di un futuro incerto, tra l’altro politicamente turbolento.
Ebbene a Cagliari, forse accadeva lo stesso in tante altre città dello stivale, proprio in quel periodo gli “amici miei” non erano però solo quattro o cinque, erano molti di più, erano tanti, tantissimi, centinaia, forse addirittura qualche migliaio; crescevano di numero settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, per la precisione sin dai primi degli anni 60 e almeno sino alla fine dei 70. Erano dunque quasi un esercito di precursori di quel film. Certo, se Monicelli avesse vissuto qualche tempo a Cagliari in quel periodo, avrebbe preso spunto da quel nutrito e variegato, dal punto di vista sociale e culturale, gruppo di persone. Avrebbe usato per il suo film qualcuno di quegli scherzi che gli “amici miei” in questione combinavano nella città capoluogo di un’isola che si svegliava, quasi, da un lungo letargo.
A parte la voglia di ridere e divertirsi, quegli “amici miei” avevano una caratteristica particolare che li accomunava tutti: si riunivano sempre in uno stesso luogo, un bar, il bar di Angelo Marabotto, in piazza San Benedetto. Che pian piano divenne così un centro di aggregazione unico, singolare, conosciuto da tutti (e non solo dai cagliaritani), anche da quelli che, storcendo il naso, con intento denigratorio definivano sarcasticamente quel bar, parafrasando il cognome del proprietario, come “Mera botto”, cioè “molto botto”, dove il “botto” nello slang cagliaritano indica gente dei bassifondi o comunque poco fine, erudita ed elegante, culturalmente di basso o infimo livello, insomma.
Ebbene, “Quelli di Marabotto” è il titolo di un libro del giornalista Andrea Coco, edito dalla nostra “Gia” di Giorgio Ariu, che racconta proprio quel periodo, ciò che in particolare accadeva in quella piazza, chi la frequentava, quali erano gli argomenti di discussione, quali gli scherzi che si organizzavano, quali i divertimenti preferiti, quali i legami che potevano unire persone tanto diverse tra loro, dall’affermato professionista al pugile, dal rappresentante di commercio all’ingegnere, dall’imprenditore allo studente universitario, dal “figlio di papà” allo sportivo, dall’insegnante al politico, al Provveditore agli studi, all’avvocato e persino al magistrato o al docente universitario.
Un libro, corredato da tante fotografie dell’epoca, tutte in bianco e nero, che è stato presentato a giugno dello scorso anno in un’affollatissima sala del T-Hotel dallo storico Paolo Fadda, dal giornalista Gianni Filppini e dall’avvocato-scrittore Antonello Angioni, e che ha avuto un gran successo: ormai nelle librerie della città sono quasi in esaurimento le ultime copie, tanto che editore e autore stanno seriamente pensando a una prossima ristampa, naturalmente riveduta e corretta.
“Quelli di Marabotto”, a detta dello stesso autore, non ha nessuna presunzione di rappresentare la realtà socio-politica men che meno storica della Cagliari di quel periodo: l’idea è nata in Andrea Coco, che tra l’altro era tra i frequentatori assidui di quel bar, semplicemente per ricordare quelle persone, quella piazza, la sfrenata voglia di vivere di una generazione (anzi, di almeno due generazioni, quella dei padri insieme con quella dei figli) che per gli appuntamenti -come viene ricordato nella prefazione- aveva bisogno solo di fissare l’ora. Perché il luogo era sottinteso, scontato: ci vediamo da Marabotto!