Era stato l’ultimo regalo del nostro capitano. Il capitano di tutti noi: Alberto Pedrazzini. Al suo funerale, Alberto Onorato, ex playmaker di Esperia e Olimpia, aveva lanciato l’idea, colpito dalle migliaia di persone che avevano riempito Bonaria come un Palasport nel giorno di una finale scudetto, quando tanta gente resta fuori: “Non possiamo solo ritrovarci per piangere qualcuno. Facciamo qualcosa”.
Detto, fatto: un paio di mesi dopo una intera generazione si è ritrovata sulla Rotonda del Lido per celebrarsi senza però autocelebrarsi. L’avevamo ribattezzata “la Woodstock dei canestri” perché mai c’era stato, quasi spontaneo, un raduno così affollato. Circa 600 persone, a numero chiuso: soltanto cagliaritani, non oltre il 1960 e senza mariti e mogli. Diversamente sarebbero stati, i cosiddetti “basket-ieri”, migliaia, parecchie migliaia. Una generazione incredibile, ben oltre la pallacanestro giocata in gioventù: medici, avvocati, insegnanti, magistrati, imprenditori, giornalisti, politici, tutta gente entrata perfettamente nel tessuto sociale della città. La battuta più bella, che sintetizzava il tutto, l’avevo sentita il giorno dopo da un estraneo che commentava così l’avvenimento: “A Cagliari ovunque vai, in un tribunale o in un ospedale, in una scuola o in una grande impresa, trovi uno che da giovane ha giocato a basket”.
Erano anni ruggenti: dietro il Brill che batteva l’Ignis Varese e giocava la poule scudetto c’erano migliaia di ragazzini e ragazzine che aveva occupato Cagliari. Da Monte Mixi a Su Siccu, dal Castello a Is Mirrionis, dal Terrapieno alla Scuola Riva di piazza Garibaldi, dal quartiere Cep alla Fonsarda, da Genneruxi a Piazza Giovanni XXIII, dalla Fiera al Padiglione della Coca Cola, Cagliari era (all’epoca) un gigantesco campo di basket. Non a caso la scelta di quella kermesse di fine estate del 2018 era stato Il Lido: anch’esso faceva parte di quel mondo, aveva ospitato tornei sul cemento della Rotonda più viscido di una lastra di ghiaccio, ed era stato il collante delle varie squadre. D’inverno una sana e consapevole rivalità sui campi, spesso ancora scoperti, e d’estate un’unica squadra sulla spiaggia del Poetto. Ma anche alla Pizzeria dell’Isola e alla gelateria La Carapigna, diventate due luoghi sacri di un movimento cresciuto a Pane e Brill in un’epoca in cui Cagliari, grazie anche alle imprese di Gigi Riva, era una delle capitali dello sport italiano.
Una lunga storia che affonda le radici nel 1924: primo match in Sardegna. I calciatori del Cagliari avevano battuto 8-1 i canottieri della Ichnusa. Ma solo nel dopoguerra il boom: in pochi anni, scissione dopo scissione, nascono Aquila, Esperia e Olimpia, poi il Brill, ed era stato un boom talmente forte che l’eco è arrivata fino ai giorni nostri.
Era stato, in quella magica notte amarcord al Lido, come aprire una vecchia cassapanca dimenticata in soffitta: tutti avevano tirato fuori qualcosa, una foto, una maglia, un ricordo. La pagina facebook “il basket siamo noi” è oggi una sorta di museo, continuamente aggiornato, di cimeli. Soprattutto foto, ma anche ritagli di giornale: non solo quelli tradizionali. All’epoca la bibbia del basket in Sardegna era Cagliari Basket, edito da Giorgio Ariu, ma anche il Pressing di Massimo Mezzini e Gino Scarpa, le foto di Giorgio Biolchini e Mario Lastretti. Anch’io ho cercato di mettere ordine in questa orgia di ricordi creando un blog, Il Playmaker, che ha come unico scopo quello di tenere accesa la lampada dei ricordi. La nostra storia, irripetibile come tutte le storie, è uguale a quei tanti piccoli post-it che attacchiamo al frigorifero. Per non dimenticare. Niente e nessuno. Soprattutto chi, e sono tanti, non c’è più.