Stampace e Marina, quartieri storici di Cagliari_di Ermenegildo Lallai

PiazzaYenne, vero centro di Cagliari, è sempre  stato un punto di riferimento importante per tutti i cagliaritani e sopratutto per gli abitanti dei quartieri di Stampace e  della Marina.  La Piazza,  la più importante dell’intera città, ha come “titoli nobili” la statua di Carlo Felice, vestito inspiegabilmente da antico romano, e la colonna che segna l’inizio della strada statale “Carlo Felice” che da Cagliari porta a Sassari. Sul  lato destro, guardando verso il Largo Carlo Felice e il porto si trova il quartiere di Stampace abitato da persone giudicate  in passato “abbastanza vivaci”, a cui la fantasia popolare, non per niente, ha attribuito il nomignolo di Cuccurus cottus (Teste calde).  Dall’altro lato della piazza , sulla sinistra, invece, guardando il Largo Carlo Felice, si trova il Quartiere della Marina, che confinando nella parte inferiore con il porto rappresenta il primo vero contatto con la città per chi arriva a Cagliari dal mare. Gli abitanti del quartiere hanno sempre avuto con il mare un rapporto  molto intenso tanto è vero che nella parlata popolare vengono soprannominati “Culus sfustus”.   Il  rione caratterizzato da moltissime attività commerciali  e studi professionali   era abitato nei tempi passati, almeno fino agli anni sessanta, da moltissimi pescatori  che erano soliti riparare le reti da pesca nelle strade, e in particolare   nella parte bassa del Viale Regina Margherita e  nella Piazzetta Darsena. 

Tra gli abitanti di Stampace e della Marina è esistita, forse da secoli, una rivalità che portava  a esaltare gli aspetti significativi e caratteristici dei due rioni. Gli stampacini  erano e sono  estremamente devoti a S. Efisio, chiamato amichevolmente Efis a cui chiedono aiuto e confidano le proprie pene. La festa del Santo di Gennaio, le Processioni del Giovedì Santo per la visita alle sette Chiese, del Lunedi Santo e sopratutto quelle di maggio del pellegrinaggio a Nora, pur essendo considerate patrimonio dell’intera città e della Sardegna, vengono vissute come un impegno particolare da tutti gli abitanti del quartiere molti dei quali  ritengono  che  quelle del periodo Pasquale  siano una sorta di “viaggio all’estero ” del Santo in quanto percorrono le strade dei rioni della Marina, del Castello e di Villanova.

Tra gli Stampacini hanno sempre goduto  di particolare prestigio e ammirazione i componenti la Confraternita del Gonfalone e in particolare il Terzo guardiano, a cui viene   affidato il gravoso compito di organizzare la festa di maggio, e “is “Dottoris” che nelle processioni indossano il  frak e il cilindro e che nella parlata  comune vengono descritti come “cussus chi bestinti a Guardiania “.

Grande considerazione è riservata anche alle Consorelle della Confraternita che hanno il privilegio di “vestire” il Santo per le processioni. Un merito che viene riconosciuto da tutta la città agli Stampacini è quello di aver ridato vigore  e valorizzato il carnevale cagliaritano. Grazie alla G.I.O.C ( Gioventù italiana operaia cattolica) e in particolare  all’iniziativa e inventiva di Pinuccio Schirra e di Tonino D’Angelo e di tutti i loro collaboratori sin dall’immediato dopoguerra (1946) sono ricomparse nelle strade della città la ratantina, con la sua musica ritmata e inebriante, le maschere tradizionali come Sa gattu, Sa viuda, su tiaulu, Sa dira, Su maccu, Su dottori, Su piccioccu  e crobi che sono riusciti  a strappare un sorriso e a divertire giovani e anziani. 

Antonello Angioni: Stampace, la storia e le storie – Giorgio Ariu editore.

Gli abitanti del quartiere sostengono di essere i  “veri” cagliaritani in quanto tutti gli altri rioni della città hanno avuto, a loro parere, influssi esterni,  la Marina dai tanti  commercianti arrivati nell’ottocento dalla Penisola e in particolare  dalla Liguria e dalla Toscana   e Villanova da persone e famiglie provenienti dai  vari Paesi della Sardegna. Il quartiere del Castello invece è considerato un caso a parte  in quanto abitato in gran parte  da “nobili” che secondo la credenza popolare “snobbano” gli altri cagliaritani. Il vero orgoglio “de sa genti de sa Marina” oltre alla Via Roma, strada più importante di Cagliari, era nei decenni che precedettero e seguirono  la seconda guerra mondiale  il bellissimo Mercato del Largo Carlo felice, demolito alla fine degli anni cinquanta con grande disappunto di tutti i cagliaritani. 

Il mercato non era solo il luogo dove si faceva la spesa ma anche la sede di piacevoli  incontri tra amici e conoscenti e  di un continuo confronto  sulla qualità dei prodotti in vendita. Il compito di fare la spesa, che veniva svolto giornalmente per la totale assenza nelle case dei frigoriferi,   era spesso affidato ai mariti  che erano soliti vantarsi di essere in grado di valutare e scegliere gli alimenti e di saper riconoscere sopratutto, da buoni cagliaritani, la freschezza del pesce: era abbastanza normale vedere infatti anche  distinti professionisti  giudicare con grande attenzione e atteggiamento professionale  gli occhi, le pinne e il colore del pesce esposto per verificarne la bontà. 

Con la stessa meticolosa  tecnica veniva analizzata la frutta e gli ortaggi, i compratori, che raggiungevano il Mercato da tutte le parti di Cagliari, spesso sostenevano di essere capaci di capire  il sapore dei prodotti dal loro colore   e  attendevano quasi con ansia la comparsa nelle rivendite della prima frutta estiva ( oggi si comprano i vari prodotti in tutte i periodi dell’anno, è stata infatti eliminata la vendita stagionale di frutta e verdure varie) e in particolare  del  moscatello che secondo la tradizione doveva essere pronto , cosi come detto in un popolare mutettu,  il 26 di luglio, giorno della festa di S. Anna ( “ po Santa Anna avocada bessi su muscadeddu”)

I rivenditori con i prodotti migliori godevano di grande popolarità e naturalmente potevano contare su  una maggiore clientela.  Nei discorsi tra i compratori spesso si accendevano  dispute sulla bravura e competenza dei vari titolari dei box del mercato. Esisteva una sorta di simpatica  familiarità tra rivenditori e compratori che si esprimeva  con battute prevalentemente in sardo cagliaritano e con allegri commenti su fatti e argomenti di attualità.  Era singolare che  la vendita  del pesce, della carne bovina e equina fossero esclusiva competenza degli uomini mentre la  frutta, la verdura e i polli fossero in maggioranza proposti da donne provenienti prevalentemente dai centri vicini a Cagliari. Capitava con una certa frequenza che le venditrici, spesso per futili motivi, litigassero tra di loro esprimendo a voce alta le rispettive accuse o opinioni con parole sconce che suscitavano  ilarità negli uomini e  scandalo nelle donne e che, comunque, inducevano  molte persone  a fermarsi per assistere  alle scenate che quasi sempre venivano interrotte, prima che trascendessero,  da volonterosi pacieri  o, molto spesso,  dai severi vigili urbani di servizio nel Mercato (Is guardias) .

Antonello Angioni: La Marina, i palazzi, le famiglie, le strade, le chiese – Giorgio Ariu editore.

Le donne che facevano la spesa, trovandosi giornalmente, si confrontavano sulle ricette e sui sistemi per ottenere sempre migliori risultati nel cucinare; di fatto i locali del Largo Carlo Felice  erano una scuola aperta sui segreti per la preparazione dei piatti della tradizione cagliaritana. Bisogna anche doverosamente  ricordare che gli incontri tra donne servivano oltre che per chiarire come preparare “Sa burrida o su pisci in scabecciu” anche per informare e essere informate dei pettegolezzi della vita cittadina (crastuliminis).

Gli Stampacini  e la gente della Marina  vedevano, come detto, con un certo distacco gli abitanti del rione di Villanova che consideravano non cagliaritani doc in quanto  provenienti da vari paesi della Sardegna. Erano i cosidetti “foresus” che sopratutto nel secondo dopoguerra si erano trasferiti a Cagliari per lavorare alla ricostruzione della città. Tale modo di ragionare veniva però contestato dai Villanovesi  che si sentivano invece cagliaritani a tutti gli effetti e ricordavano che il famoso sindaco Bacaredda abitava nel quartiere, che moltissimi  famiglie discendevano dai  tanti che nel passato avevano  coltivato i famosi e produttivi orti del rione  e, ancora,  che le Processioni  della Settimana Santa, accompagnate dai tradizionali canti eseguiti dai cantori,  seguite  da tutta la città,  da secoli avevano e hanno come centro e punto di partenza le Chiese del Rione.

Tutti i quartieri di Cagliari con i loro tipici personaggi sono, per chi vi ha vissuto nella Cagliari degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, una miniera inesauribile di ricordi. La città   del dopoguerra era molto diversa dall’attuale, sicuramente  meno sofisticata:  si deve però riconoscere, con un certo  rimpianto e nostalgia per quegli anni e per quel mondo totalmente cambiato,  che i cagliaritani di allora pur non avendo le comodità odierne  avevano l’opportunità di vivere in maniera semplice in un ambiente  a misura d’uomo che favoriva i rapporti umani.

dalla rivista ilCagliaritano

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