Quello di William Pitzalis (vicecampione nell’ultima edizione del celebre talent show “Cuochi d’Italia”) è sempre stato lo stesso, coltivato attorno al suo sorriso e la sua voglia di farsi del bene facendolo agli altri: diventare cuoco del Cagliari, la sua squadra del cuore.
“Quando parlavo coi miei compagni di scuola dei progetti lavorativi, loro sognavano sempre grandi strutture alberghiere, resort dall’altra parte del mondo; io desideravo soltanto diventare il cuoco del Cagliari.”
Ci ha sempre sperato, sino a quando cinque anni fa non è arrivata la chiamata del Presidente Giulini.
“In precedenza avevo avuto varie opportunità anche con Cellino, che magari mi chiamava per qualche extra in occasione di partite importanti o occasioni particolari. Lui sapeva della mia malattia per il Cagliari e più volte mi aveva promesso che, se ci fosse stata la possibilità, mi avrebbe assunto. Una volta mi chiamò personalmente, chiedendomi se sapessi fare il minestrone buono! Ogni inizio di stagione ci speravo e ci son sempre andato vicino: in diversi momenti sembrava fatta. Poi mi telefonavano all’ultimo per dirmi che avevano scelto un altro: ogni volta era una delusione d’amore, mi sentivo come un cane abbandonato sull’Asse Mediano. Non ti nascondo che ho pure pianto”.
Eppure William non si dà per vinto. Non smette di crederci, continuando con gli extra col nuovo presidente Giulini e proseguendo il suo lavoro
a tempo pieno: il cuoco presso una comunità di malati, l’Ospedale R.S.A. Monsignor Virgilio Angioni.
“È stato bello, e lì ho avuto la fortuna di conoscere Don Carlo Rotondo: abbiamo legato tanto, anche grazie al filo conduttore della passione per i colori rossoblù. Passavamo ore a parlare di calcio, sino a quando lui è diventato cappellano del Cagliari, e io il cuoco: ci siamo ritrovati, è stata una bella storia. Sicuramente gli devo tanto: lui, suor Silvia e Nicola Legrottaglie mi hanno aiutato parecchio nel realizzare la vocazione della mia vita.
Son stato chiamato presso la vecchia sede di Viale la Playa per un colloquio. Quel giorno avrei dovuto lavorare con i malati, ma mi son finto malato io! Non l’avevo mai fatto, ma quel giorno dovevo, altrimenti qualcun altro mi avrebbe soffiato il posto un’altra volta. In quel colloquio ho davvero parlato col cuore”
Oggi William ha realizzato il suo grande sogno, ma il suo percorso non è sempre stato rose e fiori, anzi. È diventato cuoco per necessità. I suoi genitori si sono separati quando era ancora molto giovane, con conseguenti problematiche di natura economica. Così, ancora diciassettenne, ha dovuto abbandonare gli studi e iniziare a lavorare, passando dalle tante pentole da pulire ai sacrifici e le ore non riconosciute. Accadeva dunque che, mentre i suoi amici uscissero la sera, lui fosse costretto a rinunciare per via del lavoro. L’unico svago era lo stadio, con il suo Cagliari: quello non poteva mai mancare.
“Sono cresciuto nel quartiere dello stadio, Sant’Elia. Una parte della vecchia struttura si vedeva persino dalla finestra di casa mia. Ancora oggi, a casa di mia madre, si sentono i cori, si vedono i fari durante le notturne, si respira l’atmosfera”.
Ed è proprio per il suo quartiere che William vorrebbe fare qualcosa di importante, unendo il suo lavoro ad un’altra sua grande vocazione: l’impegno per il sociale.
“Ho sempre avuto un occhio di riguardo per le persone meno fortunate. Se sono ad un semaforo non guardo la macchina più bella, anche perché col mio lavoro ne vedo davvero parecchie. Però mi rendo conto che quel mondo dorato non è il mio; bisogna saper tenere i piedi per terra, e grazie all’esperienza con la famiglia Giulini ho potuto conoscere tantissime realtà, soprattutto tramite la Fondazione: il Borgo Tre Mani, il carcere di Quartucciu, il Nido della Pavoncella, la Locanda dei Buoni e Cattivi e la Caritas diocesana di Cagliari.
Ora ho un’idea mia, un sogno: mi piacerebbe aprire una scuola di cucina per i ragazzi del mio quartiere. Sarebbe bello poterla avviare all’interno dello stesso Sant’Elia, col mare, il sole, lo stesso stadio, ma se ciò non fosse possibile sarei disposto anche a portare i ragazzi del quartiere altrove. Ci credo tanto, ho avuto anche la fortuna di pubblicizzare molto l’idea grazie a Cuochi d’Italia, dove ho ripetuto sin dai casting che avrei destinato il montepremi alla realizzazione della scuola. Sarebbe un’occasione per dare la possibilità ai ragazzi del quartiere di conoscere una strada. Ci sono giovani con straordinarie qualità che hanno solo bisogno di un grillo parlante che vada a stuzzicarli un pochino. Non so se riuscirò a metterlo in pratica, ma io credo che i sogni vadano sempre inseguiti”
Affinché il sogno del cuoco dal cuore buono diventi realtà sarà necessario mettere insieme tante componenti: le istituzioni in primis, ma anche i colleghi e soprattutto i soldi. William Pitzalis sa bene che non sarà semplice, ma sottolinea anche come la scuola possa essere un bene per tutta la città. Lui farà di tutto affinché accada anche perché, ci racconta, la scuola di cucina è l’unica opportunità che possa farlo andar via dalla famiglia Giulini: nessun ristorante e nessun’altra struttura. D’altronde le richieste non gli sono certo mancate nell’ultimo periodo, dopo il grande successo nel talent show. Ha sempre
ringraziato e declinato.
“Non potevo tradire chi mi aveva dato l’opportunità di realizzare il mio sogno e non lo farò mai, per nessuna cifra al mondo. Ecco, un’altra ragione per andar via dal Cagliari sarebbe il cambio di proprietà”
Non è un caso che quello al Cagliari Calcio sia il posto più bello dove abbia mai lavorato, nonostante ne abbia visto davvero di qualsiasi tipo.
“Ne ricordo uno davvero spettacolare. Ho lavorato in un ristorante sulla spiaggia di Cala Sinzias, il Maklas, col mare a cento metri: ti aiutava a non sentire la stanchezza e stare sereno; però al Cagliari mi piace respirare l’aria dello spogliatoio, che nel mio caso è aria di cucina. Mi piace lavorare in un ambiente sano, pulito, con persone che ti rispettano e sanno dire grazie. C’è anche da dire che preparare da mangiare ad un calciatore professionista non è più come negli anni ’70 e ’80, quando la dieta consisteva unicamente in riso, pollo e carne rossa. Ormai c’è spazio per la fantasia e il buon gusto. Oggi l’atleta è talmente preparato sull’alimentazione che sa cosa può mangiare e cosa invece no. Noi cerchiamo di fare una cucina sana, genuina, con prodotti a chilometro zero. Non è nemmeno vero che un calciatore non possa mangiare dolci: con moderazione si può mangiare un po’ di tutto”.
Ma la carriera di William non è composta solo di sorrisi e ricordi fiabeschi. La sua generosità verso il prossimo lo ha spinto a dare una mano in qualsiasi condizione, anche all’indomani dei drammatici terremoti dell’Abruzzo e di Amatrice, quando scelse di fare i bagagli e cucinare nella più triste delle trasferte.
“Siamo arrivati pochi giorni dopo il terremoto, nel campo di Pianola. Abbiamo lavorato con una cucina mobile, distribuendo un migliaio di pasti tra pranzo e cena, più le colazioni. Non c’era davvero possibilità di riposare, le persone erano disperate e avevano fame; le scosse continuavano, la gente era impaurita e anche io, a dire il vero, ho avuto paura. Diverse volte ho pensato “ma chi me lo ha fatto fare?”. Eppure mi porto dentro un’esperienza molto toccante”.
Per concludere ci racconta i due istanti che porta nel cuore, i due momenti d’oro nel suo percorso tra i fornelli.
“Ci sono due momenti che ricordo con particolare affetto. Uno risale a due giorni prima della finale di Cuochi d’Italia, quando dovevo affrontare la semifinale: me la stavo facendo sotto, avevo paura. Sembrerà una fesseria, ma stare davanti a tutte quelle telecamere, con tutta quella gente a fare il tifo per te e tutte le aspettative che c’erano non era facile. Avevo pure pensato di darmi per malato per la seconda volta! Poi una persona mi ha preso da parte e mi ha detto “ricordati cosa rappresenti, chi sei e dove lavori”. Mi sono sbloccato immediatamente, mi è tornata la grinta e la voglia di vincere: ho vinto la semifinale e conquistato la finale. Ricorderò sempre quelle parole.
L’altra soddisfazione che mi porto dentro, sempre legata al talent, è aver portato le mie tre donne in TV. Mia mamma non era mai stata fuori dalla Sardegna, e io le ho dedicato il piatto della finale: “Mamma son tanto felice”.”